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Il caso britannico, sul quale il libro si diffonde maggiormente, non deve fuorviare: è una realtà che si moltiplica, per ragioni quasi analoghe, ben oltre i confini del Regno. Per Tristram Stuart accade ovunque, anche in Italia. «Nelle sole abitazioni del Regno Unito il governo ha calcolato che si getta via un quarto del cibo acquistato. Cibo vero, non bucce di banana o avanzi non commestibili. Sono 5,4 milioni di tonnellate all'anno. Si parla di una media di 112 chili a persona. In America 96 anche se, calcolato con un metodo diverso che ridurrebbe, qualora applicato al Regno Unito, lo spreco britannico a 70 chili. In Italia ho ipotizzato 73 chili, ma sulla base di quanto è stato recuperato dalle pattumiere di un campione di case in alcune aree del nord del paese. È difficile dire, in questo caso, quanto cibo fosse davvero commestibile, resta un'indicazione. Quando studiavo a Firenze battevo i supermercati con lo stesso successo di Londra».
Sulle ragioni dello spreco Tristram Stuart mette in fila varie motivazioni: «Limitandoci a considerare i supermercati, pesano una serie di fattori. Nessuno vuole vedere scaffali semivuoti e l'abbondanza della merce è considerata dai manager essenziale; è più semplice eliminare piuttosto che pianificare il riciclaggio; è più economico per un supermercato avere più cibo ed eventualmente gettarlo piuttosto che non averne; è opinabile la capacità di programmazione dei quantitativi necessari». E prosegue: «Un elemento che contribuisce parecchio allo spreco sono le offerte "prendi tre, paghi due": compri ciò che non ti serve e finisce che il consumatore cestina l'eccedenza. Se acquistassi una cosa a prezzo ridotto sarebbe molto meglio. In Inghilterra ogni anno, finiscono in discarica 480 milioni di yogurt mai aperti».
Resta da capire perché al macero e non a favore dei meno abbienti, degli anziani bisognosi, del mondo delle charity. FareShare, l'unica organizzazione britannica che si occupa di recuperare gli scarti dei supermercati ponendosi in concorrenza diretta con le discariche, ritiene che il motivo principale sia, come dice la portavoce Maria Olsen, «la difficoltà da parte della grande distribuzione di integrare politiche del genere nel proprio modello di business». Come dire: è più semplice buttare via, senza curarsi di quanto si appesantisce l'ecoinsostenibilità del sistema. «Se le mie raccomandazioni - aggiunge Stuart - fossero accolte si recupererebbe un terzo della produzione alimentare del pianeta». Qualcuno lo ascolta se è vero che Sainsbury's ha portato a 6.600 le tonnellate di cibo che riesce a dirottare ai più bisognosi. L'inizio di un nuovo corso? La strada è lunga e, prima dei supermercati, incrocia la produzione, l'industria e le cattive abitudini dei consumatori.
Tristram fa la sua parte da quindici anni. Per amore di Gudrun e, per la cronaca, senza mai essersi preso neppure un legittimo mal di pancia.