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L'ex presidente honduregno Zelaya non riesce a atterrare a Tegucigalpa

di Roberto Da Rin

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6 luglio 2009
Polizia e forze armate presidiano la pista dell'aeroporto di Toncontin a Tegucigalpa, Honduras (Reuters)
L'ultimatum dell'Oas all'Honduras


Ieri sera il primo morto, negli scontri tra manifestanti. E' stata una settimana difficile, quella appena trascorsa in Honduras: il braccio di ferro tra sostenitori e avversari di Manuel Zelaya, il presidente destituito da un colpo di stato otto giorni fa, rischia di degenerare in una guerra civile.

Il governo golpista di Roberto Micheletti non ha concesso l'autorizzazione all'atterraggio dell'aereo che dovrebbe riportare in patria il presidente eletto, accompagnato dal presidente dell'Osa (Organizzazione degli Stati americani), Josè Miguel Insulza. Gli altri leader regionali che avrebbero dovuto accompagnarlo a Tegucigalpa, sono rimasti in Salvador per ragioni di sicurezza.
L'Honduras, piccolo paese centroamericano di 6 milioni di abitanti, rischia così di trasformarsi in un'altra emergenza internazionale; il primo a doverla affronatare sarà il presidente americano Barack Obama. "Il cortile di casa", questa l'espressione usata da Henry Kissinger alcuni anni fa, non può dilaniato dall'ennesima guerra civile.

Zelaya finora appoggiato da tutta la comunità internazionale europea e nordamericana ha dovuto quindi posticipare il suo rientro nonostante poco prima avesse dichiarato ai microfoni della radio venezuelana Telesur: "Ci presenteremo all'aeroporto di Tegucigalpa con diversi capi di stato e membri di organizzazioni internazionali. Faremo valere tutto quello per cui abbiamo combattuto nella nostra vita: fare la volontà di Dio attraverso la volontà del popolo". E poi ancora: questa è una grande occasione per dimostrare al mondo che gli honduregni sono capaci di affrontare i problemi e di risolverli, nonostante questa cricca di criminali che pretende di appropriarsi del destino della nazione".

La minaccia di Enrique Ortez Colindres, ministro degli Esteri dell'attuale governo golpista, ha contribuito ad alimentare il clima di paura: "Chiunque ci sia a bordo dell'aereo non ci sarà alcuna autorizzazione". Un crescendo di tensione, quindi. Soprattutto perché l'espulsione dell'Honduras dall'Osa, avvenuta venerdi pomeriggio, non ha affatto spaventato i golpisti. L'Osa, va ricordato, ha il ruolo e il prestigio di una Onu latinoamericana, eppure la replica di Micheletti è stata sfrontata. "Bene, usciamo dall'organismo". Anche se poi, ieri sera, ha aperto spiragli di possibili negoziazioni.
Nelle ultime 24 ore è intervenuta anche la Chiesa cattolica e sorprendentemente ha chiesto a Zelaya di non tornare. Il cardinale Oscar Rodriguez ha ricordato che finora "non vi è stato spargimento di sangue" e per questo ha "invitato il presidente eletto a restare fuori dal Paese". La Chiesa si discosta quindi dalla linea di politica internazionale adottata all'unanimità.
Sempre più difficile la posizione di Obama, non solo per la vicinanza dell'Honduras, ma per la scelta che dovrà effettuare se la tensione dovesse superare i limiti di guardia. Due le ipotesi: la prima è quella di non intervenire, rischiando pero' di appoggiare implicitamente il governo golpista. La seconda è quello di intervenire e quindi allinearsi alle posizioni di Hugo Chavez, Raul Castro, Rafael Correa, Evo Morales e Daniel Ortega. Tutti appartenenti al novero di presidenti della sinistra radicale osteggiata dalla Casa Bianca.
Un dossier di cui certo l'Amministrazione Obama non aveva bisogno in questo periodo.

6 luglio 2009
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