Se nel giro di pochi anni le steppe mongole diventeranno una distesa di dune non sarà per colpa dell'effetto serra, ma di coloro che desiderano coprirsi – e non solo d'inverno - di morbido cachemire.
L'allarme è stato lanciato da uno studio della Banca Mondiale, che da dieci anni monitora le condizioni ambientali delle grandi steppe del paese, dalla zona di Origih bag alle alture del Gobi. Certo, anche il riscaldamento globale ha i suoi deleteri effetti: il livello delle precipitazioni è crollato, laghi e fiumi si sono prosciugati, con conseguenze devastanti per la vegetazione, che è diminuita di un terzo anche in termini di varietà di piante. Ma la colpa della progressiva desertificazione è soprattutto delle capre: la crescente richiesta per la preziosa fibra ha fatto aumentare la popolazione di ovini dai 25 milioni di capi del 1993 ai 40 milioni del 2007. E' vero che i pastori mongoli dalle capre ricavano anche latte e carne per la loro sussistenza (con il latte fermentato si produce l'airag, la bevanza nazionale del paese), ma è anche vero che è grazie alla vendita del cachemire che riescono a concedersi beni di lusso come cellulari, tv e motociclette.
Il prezzo reale di questo ciclo, come denuncia il ministero dell'ambiente di Ulan Bator, è che la vegetazione sta diminuendo nel 75% del paese, per il 7% già desertico. «Rispetto a qualche anno fa il territorio è già molto più esposto agli "Zud", i terribili inverni mongoli, e alle alluvioni», dice David Sheehy, membro dell'International Centre for the Advancement of Pastoral Systems, nel report della Banca Mondiale. La soluzione? In Cina la paura della desertificazione ha portato il governo a stabilire la soppressione di migliaia di capre considerate in eccesso e a ordinare alle fattorie di alternare le colture. Da parte sua il fondo di sviluppo dell'Onu ha dato vita a un programma di quattro anni per la lotta alla desertificazione anche tramite attività di formazione in land management. Ma se non si fermerà, l'avanzare della sabbia potrebbe far cadere sulle steppe un silenzio ancora più profondo.