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Fortress Europe denuncia la repressione libica
sui migranti somali a Bengasi

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2 settembre 2009


Cicatrici sulle braccia, ferite aperte sulle gambe, garze sulla schiena, tagli sulla testa. Sono i segni lasciati dalla polizia libica ai somali detenuti nel carcere di Ganfuda, a Bengasi, arrestati lungo la rotta che dal desertolibico porta a Lampedusa. A denunciare la vicenda è l'osservatorio Fortress Europe (Fe), che pubblica quindici foto scattate di nascosto con un telefono cellulare da uno dei detenuti. «A pubblicarle per primo - si legge sul sito di Fe - è stato il sito in lingua somala Shabelle. E oggi l'osservatorio Fortress Europe le rilancia in Italia. Secondo un testimone oculare, con cui abbiamo parlato telefonicamente, ma di cui non possiamo svelare l'identità per motivi di sicurezza, i feriti sarebbero almeno una cinquantina, in maggior parte somali, ma anche eritrei. Nessuno di loro però è stato ricoverato in ospedale. Sono ancora rinchiusi nelle celle del campo di detenzione, a venti giorni dalla rivolta».

«Tutto è scoppiato - spiega l'osservatorio - la sera del 9 agosto, quando 300 detenuti, in maggioranza somali, hanno assaltato il cancello, forzando il cordone di polizia, per scavalcare e fuggire. La repressione degli agenti libici è stata fortissima. Armati di manganelli e coltelli hanno affrontato i rivoltosi picchiando alla cieca. Alla fine degli scontri i morti sono stati sei. Ma il numero delle vittime potrebbe essere destinato a salire, visto che ancora non si conosce la sorte di un'altra decina di somali che mancano all'appello».

«Il campo di Ganfuda - prosegue - si trova a una decina di chilometri dalla città di Bengasi. Vi sono detenute circa 500 persone, in maggior parte somali, insieme a un gruppo di eritrei, alcuni nigeriani e maliani. Sono tutti stati arrestati nella regione di Ijdabiyah e Bengasi, durante le retate in città. L'accusa è di essere potenziali candidati alla traversata del Mediterraneo. Molti di loro sono dietro le sbarre da oltre sei mesi. C`è chi è dentro da un anno. Nessuno di loro è mai stato processato davanti a un giudice. Ci sono persone ammalate di scabbia, dermatiti e malattie respiratorie. Dal carcere si esce soltanto con la corruzione, ma i poliziotti chiedono mille dollari a testa. Le condizioni di detenzione sono pessime. Nelle celle di cinque metri per sei sono rinchiuse fino a 60 persone, tenute a pane e acqua. Dormono per terra, non ci sono materassi. E ogni giorno sono sottoposti a umiliazioni e vessazioni da parte della polizia».

Sull'intera vicenda i deputati Radicali hanno presentato lo scorso 18 agosto un'interrogazione al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri, chiedendo se l'Italia «non ritenga essenziale, anche alla luce e in attesa della verifica dei fatti sopraesposti, garantire che i richiedenti asilo di nazionalità somala non siano più respinti in Libia». Intanto i 75 somali, tra i quali tre minori e 15 donne, respinti il 30 agosto in Libia, sono stati rinchiusi, denuncia Fe, in un altro centro di detenzione libico, quello di Zuwarah, tutti in un'unica cella.

2 settembre 2009
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