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9 NOVEMBRE 1989-2009
Quella notte libertaria di Berlino «città aperta»

di Marco Innocenti

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25 ottobre 2009

C'era una canzone dei Pink Floyd, intitolata "The Wall", che diceva: «Non è facile gettare il nostro cuore oltre quel maledetto muro. Ma un giorno, mano nella mano, lo oltrepasseremo». Quanto è bella quella notte magica e libertaria del 9 novembre 1989 a Berlino, con il Muro che cade e i berlinesi dell'Est che frugano l'Ovest, una città sommersa da una massa umana fatta di colori, emozioni, curiosità, frenesie, rivincite.

Berlino città aperta, immagini da mozzare il fiato, la disintegrazione della "Prussia rossa", sudditi che tornano cittadini, uomini che tornano uomini, la nemesi dell'Est, il nucleo duro dell'impero rosso che si trasforma nella tessera di un mondo cangiante e imprevedibile. Clacson, risa, applausi, balli, cori, abbracci, una coda di corpi come una colonna dantesca, la musica di Chopin negli antri della metropolitana, l' "angelo azzurro" che ritorna. Ingenua euforia, fame di benessere, voglia di nuovo. Molti si baciano come ci si bacia nella vita e non solo nei film. La birra è gratis per tutti e l'entusiasmo tocca le stelle. Un poliziotto dell'Est regala una rosa a una ragazza dell'Ovest e, in cambio, ottiene un pallido sorriso: anche a Berlino domani è un altro giorno.

Implode la Repubblica democratica tedesca (Ddr), icona del socialismo reale, vetrina del comunismo, simbolo della contrapposizione con l'Occidente, avanguardia ideologica, strategica, economica, spionistica dell'impero sovietico. Crolla una democrazia senza democrazia, un regime senza bandiere ideali, un grido senza suono, un vaso senza fiori, uno Stato in cui i monumenti non potevano essere eretti in ricordo di eroi ma solo di vittime.

Cade il figlio legittimo della guerra, l'ottuso guardiano degli sconfinamenti degli uomini e delle idee, il condominio degli spettri del secolo, una spada di cemento armato nel cuore dell'Europa alta quattro metri e lunga 155 chilometri, un muro senza porte né finestre, senza buche per i biglietti di chi avrebbe voluto piangere. Cade e si accartoccia su se stesso come un rotolo di pergamena, cifra simbolica della fine di un'epoca e del punto di non ritorno verso l'unificazione tedesca. L'Occidente non fa niente per affrettarne la fine. I 1989 mattoni cadono da soli e il futuro non avrà più confini di filo spinato.

Eretto in una notte, il Muro in una notte si disintegra. I vopos che hanno lastricato di cadaveri la terra di nessuno osservano stupiti una magìa. È un'emozione forte, vibrante, tutto succede tanto in fretta, con la velocità del nostro tempo. La Grande Storia esplode come un fuoco d'artificio e mostra tutta la sua fantasia, espugnando il comunismo come una patetica Bastiglia, spezzando le tavole di Yalta e bruciando a Berlino i fantasmi del passato: le svastiche, i gulag, l'onnipresente Check Point Charlie delle spy stories di Le Carré, i "trompe l'oeil" sulle facciate del Muro, i fuggiaschi inseguiti dalle raffiche dei mitra grigi dei Vopos, le atmosfere malinconiche e ambigue della città di Fassbinder.

"Quanto sei bella Berlino", prima attrice di un formidabile '89, un anno che taglia la storia di tanti popoli e la vita di una generazione. Dall'Afghanistan al Baltico, da Varsavia a Budapest, da Praga a Bucarest è una corsa a perdifiato. I panzer con la stella rossa che sferragliando lasciano Kabul, quel ragazzo solo davanti ai carri armati a Pechino, il volto di Dubcek illuminato da una fiaccolata di popolo, i romeni che muoiono per la libertà, gli occhi febbrili della gente che vuole tutto e subito: la Storia insegna che gli imperi non sono immortali. L'Est, affamato di destino, non è più un cimitero che guarda la luna. Il Muro ha travolto l'Urss. E il comunismo resta un lusso per pochi: un copione che ormai solo i ricchi occidentali, nei loro salotti, si divertono a recitare.

25 ottobre 2009
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