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Clima: l'Africa vuole chiedere i danni ai paesi ricchi

di Riccardo Barlaam

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24 ottobre 2009
(Afp)

Smaltire una nave di rifiuti tossici in Europa, rispettando le normative, costa circa 250 dollari a tonnellata. Smaltirla a largo delle coste della Calabria costa meno. Smaltirla a Mogadiscio costa appena 2 dollari a tonnellata. Smaltirla nel mare pescoso della Costa D'Avorio non costa niente.

In mezzo a questi percorsi tortuosi che controllano il traffico criminale di rifiuti dal Nord al Sud del mondo, dai colletti bianchi alle favelas, passano fiumi di dollari e storie difficili da far venire a galla. Come le navi affondate. Quattro anni fa il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti ha consegnato un memoriale alla Direzione nazionale antimafia. Un lungo dossier pieno di dettagli che racconta l'affondamento di decine di navi radioattive - trenta secondo la Procura di Reggio Calabria - nel Tirreno e in Somalia. Una vicenda in cui si mischiano criminalità organizzata, servizi segreti deviati, i rapporti drogati di "cooperazione" tra Italia e Somalia negli anni ‘80 e ‘90, che arriva probabilmente fino alle pallottole che nel 1994 a Mogadiscio uccidono i giornalisti del Tg3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, come sostengono da anni i genitori della Alpi. L'agenzia ambientale dell'Onu stima che nelle coste della Somalia negli ultimi 30 anni sono stati scaricati un milione di tonnellate di rifiuti pericolosi.

Rifiuti tossici
La notte tra il 19 e il 20 agosto 2006 in Costa d'Avorio la nave cargo Probo Koala scarica in 15 siti attorno alla capitale Abidjan 528 tonnellate di soda caustica, residuo altamente tossico della lavorazione del greggio. La nave cargo trasporta un carico di greggio della Trafigura, multinazionale anglo-olandese leader nel trading delle materie prime. Nelle settimane successive ad Abidjan l'aria è irrespirabile. Centomila persone si ammalano: problemi respiratori, intossicazioni, diarrea. Ne muoiono 17. Alcune migliaia conservano ancora oggi i segni sul loro corpo. La Corte di assise di Abidjan qualche settimana fa ha condannato due persone a 20 e 5 anni di carcere per il disastro della Probo Koala. La multinazionale Trafigura ha patteggiato: pagherà 1.546 dollari di indennizzo a 30mila persone e 200 milioni di dollari al governo ivoriano per i danni ambientali.

Sono solo alcune delle storie che riguardano l'inquinamento causato dai paesi occidentali in Africa. A queste si aggiungono i danni incalcolabili per l'innalzamento delle temperature generato dall'effetto serra. Danni che nel continente nero avranno conseguenze catastrofiche in termini di desertificazione, carenza idrica, autosufficienza alimentare, fame di terreni da parte dei paesi occidentali in cerca di quote, possibilità, in ultimo, per molti di continuare a vivere dove sono nati.

Per tutti questi motivi, in vista del vertice Onu sul clima di Copenaghen i leader africani chiedono un risarcimento economico. A Copenaghen dovrà essere approvato un nuovo trattato sulle emissioni di gas serra che sostituisca il Protocollo di Kyoto in scadenza nel 2012. E i leader africani non vogliono più che il loro continente, storicamente depredato dalle materie prime di cui sono avidi i paesi ricchi, venga ancora considerato una cenerentola, la latrina del mondo.
Se ne è parlato nei giorni scorsi alle Giornate europee dello sviluppo a Stoccolma.

L'Africa ha già formulato la sua richiesta di risarcimento per i danni causati dall`inquinamento – diretto e indiretto – causato dai paesi ricchi: 46 miliardi di euro l'anno per 10 anni, fino al 2020. Totale: 460 miliardi di euro. Una posizione ribadita a Stoccolma e anche la settimana scorsa a Ouagadougou, in Burkina Faso, al settimo Forum mondiale sullo sviluppo sostenibile dedicato proprio ai cambiamenti climatici. «L'Africa – dice il ministro dell'Ambiente del Burkina, Salifou Sawadog – è la vittima dell'inquinamento causato dai paesi ricchi anche se contribuisce in misura minima all'inquinamento del pianeta ed emette meno del 4% dei gas serra».
L'Unione africana ha creato una commissione ad hoc con delegati di dieci paesi per coordinare tutte le richieste in vista di Copenhagen. In queste settimane gli sherpa dei ministeri dell'Ambiente africani cercano di raggiungere un'intesa con i loro colleghi della Lega araba per proporre in quella sede una piattaforma unitaria. A capo della commissione siede il primo ministro dell'Etiopia, Meles Zenawi. E Zenawi ha già ha minacciato una uscita dei delegati africani dal tavolo delle trattative di Copenhagen se le richieste di risarcimento non verranno tenute in considerazione.

Speranze e timori
A Stoccolma politici ed esperti sono ottimisti, anche se non nascondono le difficoltà. Rajendra Pachauri, Nobel per la pace 2007, è a capo della commissione intergovernativa che ha preparato il dossier sul cambiamento climatico che sarà alla base dei lavori di Copenaghen: «La situazione – spiega – è drammatica: tra 20-30 anni se le emissioni di gas serra continueranno a crescere ai ritmi attuali la calotta del Polo Nord in estate si scioglierà e non sarà più compatta come ora. Alcuni paesi saranno cancellati dal mare. Le Maldive non esisteranno più. Il 40% del Bangla Desh finirà sott'acqua». Mario Molina, premio Nobel per la Fisica 1995, è il consigliere del presidente Obama per il clima: «Non abbiamo molto tempo. E mi sembra ci sia una fondamentale mancanza di leadership politica sull'argomento tra i paesi occidentali». Paesi che si stanno ancora leccando le ferite per la crisi finanziaria mondiale.

  CONTINUA ...»

24 ottobre 2009
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