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Dalla scelta al contratto

di Oliver Williamson

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13 ottobre 2009
Oliver Williamson (Reuters)

Per tutto il XX secolo l'economia si è sviluppata soprattutto come scienza della scelta. Come scrisse Lionel Robbins nel suo celebre saggio del 1932 (La natura e l'importanza della scienza economica), «L'economia è la scienza che studia il comportamento umano come un rapporto fra fini e mezzi scarsi che possono essere usati in modi alternativi». La scelta si è sviluppata in due costruzioni parallele: la teoria del comportamento del consumatore, dove i consumatori massimizzano l'utilità, e la teoria dell'impresa come funzione della produzione, dove le aziende massimizzano il profitto. Gli economisti che partono da impostazioni di questo tipo mettono l'accento sul modo in cui le quantità vengono influenzate da cambiamenti dei prezzi relativi e delle risorse disponibili, un progetto che è diventato il "paradigma dominante" per l'economia nel corso di tutto il XX secolo.

Ma la scienza della scelta non è l'unica lente attraverso cui studiare fenomeni economici complessi, e nemmeno la più istruttiva. L'altro approccio principale è quello a cui James Buchanan si riferisce con il termine di «scienza del contratto». Buchanan afferma che l'economia come disciplina "sbaglia" a occuparsi della scienza della scelta e dell'apparato di ottimizzazione a essa associato. Che sbagli o meno, lo sviluppo parallelo di una scienza del contratto è stato trascurato.
Secondo Buchanan, le esigenze primarie di una scienza del contratto attenevano al campo della finanza pubblica e prendevano la forma di un ordinamento pubblico: «La politica è una struttura di scambio complesso fra individui, una struttura al cui interno la gente cerca di assicurarsi collettivamente quei propri obiettivi privati che non possono essere efficientemente garantiti dai semplici scambi di mercato». Pensare contrattualmente nel campo dell'ordinamento pubblico porta a concentrare l'attenzione sulle regole del gioco, e solleva questioni di economia costituzionale.

A prescindere dalle regole del gioco, la lente del contratto incide efficacemente anche sullo svolgimento del gioco. Quest'ultima cosa è ciò a cui mi riferisco col termine di ordinamento privato, che comporta sforzi da parte delle parti vicine per giungere a una transazione che allinei gli incentivi ed elabori strutture di governo più in sintonia con le loro esigenze di scambio. L'obiettivo di questi sforzi di autoaiuto è attuare meglio la «reciprocità del vantaggio derivato dallo scambio volontario, il più importante di tutti i concetti economici», tenuto debitamente conto della mitigazione dei rischi contrattuali. Le questioni strategiche (la teoria del disegno dei meccanismi, la teoria dell'agency e l'economia dei costi di operazione/contrattazione incompleta sono tutte attinenti a tali questioni) che erano state ignorate dagli economisti neoclassici dal 1870 al 1970 fanno ora la loro comparsa.
La divisione iniziale è fra la scienza della scelta (ortodossia) e la scienza del contratto. Quest'ultima si divide poi in ordinamento pubblico (economia costituzionale) e parti di ordinamento private, a sua volta suddiviso in due rami collegati. Uno si concentra sull'allineamento iniziale degli incentivi (disegno dei meccanismi, teoria dell'agency, letteratura sui diritti di proprietà formali), mentre il secondo si occupa della governance delle relazioni contrattuali in corso (implementazione dei contratti). Questo saggio si occupa principalmente della governance, specialmente in rapporto alla teoria dell'impresa.

Tratto da «The Theory of the Firm as Governance Structure:
from Choice to Contract» (2002)
(Traduzione di Fabio Galimberti)

13 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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