Le organizzazioni internazionali si attivano per regolamentare l'accaparramento delle terre in Africa
ROMA – «Entro la metà del 2010 ci auguriamo di poter varare un codice di condotta per tutelare le comunità rurali dal "land grabbing", in altre parole l'accaparramento di terreni agricoli da parte delle multinazionali straniere e fondi di investimento». Così il presidente aggiunto dell'Ifad Kevin Cleaver, che ha risposto ad alcune domande del Sole 24 Ore.com in una pausa dei lavori del Vertice Fao sulla sicurezza alimentare.
Il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) è un'istituzione finanziaria internazionale con sede a Roma Eur e fa parte del polo delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, accanto alla Fao e al Programma alimentare mondiale. «L'Ifad – spiega Cleaver – lavora con le popolazioni povere delle aree rurali, non soltanto in Africa, per aiutarle a incrementare la produzione agricola e la vendita dei loro prodotti, per la concessione di piccoli crediti, per l'assistenza sanitaria e la formazione professionale, favorendo così anche l'aumento dei loro redditi. Dal 1978, ha investito più di 11 miliardi di dollari in prestiti a tassi agevolati e donazioni a paesi in via di sviluppo, mettendo circa 340 milioni di persone in condizione di uscire dalla povertà. Cosa non molto nota all'opinione pubblica, l'Ifad è un partenariato unico nel suo genere, composto da 165 membri, tra membri dell'Opec, dell'Ocse e del resto dei paesi invia di sviluppo».
Da pochi anni, in seguito alla crisi alimentare e ambientale, si è creato un "business" agricolo che ha portato gli Stati del Golfo Persico, ma anche l'Egitto, la Cina e la Corea del Sud ad affittare migliaia di ettari di terreno in Africa per produrre grano e derrate alimentari da essere poi reimportate. «Molti investimenti privati – prosegue Cleaver – sono utili: negli anni 70 e 80, ad esempio, hanno portato nuove tecnologie nei settori della gomma e del cotone. Anche il presidente dell'Ifad Kanayo F. Nwanze nel corso del vertice Fao ha sottolineato come le opportunità offerte da questi investimenti possono portare nei paesi in via di sviluppo nuove infrastrutture e più lavoro, ma non devono togliere la terra alle comunità locali e ai piccoli contadini. In certi paesi africani poveri possono quindi rivelarsi fortemente negativi».
Di fronte a un fenomeno di crescente proporzioni e che riguarda attualmente 20 milioni di ettari, già comprati nelle aree sottosviluppate o in trattativa d'acquisto, anche il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia ha dichiarato alla Fao che «si rende necessaria una sorta di "carta etica" di fronte alla presenza imbarazzante della Cina che si sta comprando l'Africa». Il codice di condotta, riprende Cleaver «partirà innanzitutto dalla necessità di individuare le "best practices" per rendere convenienti questi investimenti non solo a chi li fa, ma anche a chi vive nei territori interessati. Servono dunque linee guida di trasparenza e tutele per i diritti dei più deboli». Per Ifad e Fao è inoltre importante definire uno schema standard di business partecipato tra industria e agricoltori poveri. «Noi vorremmo arrivare – conclude Cleaver – a una soluzione che faccia vincere un po' tutti, attraverso un consenso libero, informato e partecipato dei poveri rurali alle iniziative che li riguardano».