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Tutto può accadere come trent'anni fa

di Alberto Negri

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29 dicembre 2009

La famiglia rivoluzionaria iraniana, che ha tenuto insieme questo regime per trent'anni, si sta sfasciando. Al culmine dell'Ashura, le celebrazioni del martirio di Hussein a Kerbala nel 680, massima espressione religiosa e popolare dello sciismo, nelle piazze di Teheran si uccidono tra i manifestanti personaggi come il Seyed Ali Moussavi, nipote di Moussavi, ed esponente di una famiglia discendente da Maometto, fulminato da una fucilata alla schiena. In carcere finiscono studenti, riformatori e anche Alì Behesti, figlio del Grande Ayatolla Behesti, uno dei fondatori della rivoluzione, ucciso da martire in un attentato negli anni 80. Gli stessi siti di informazione conservatori annunciano l'arresto di decine di religiosi e insegnanti nelle scuole coraniche di Qom, il Vaticano dello sciismo.
Anche le grandi famiglie dei mullah si stanno innervosendo, qualcuno legittima la protesta di piazza e comunque molti non sono d'accordo con questa lotta indiscriminata a ogni forma di opposizione. Le manifestazioni per la morte del Grande Ayatollah Montazeri sono state il segnale che di islamico in questa repubblica, come dice Karrubi, è rimasto ben poco. Era dai tempi dello Shah che i mullah non finivano così pesantemente nel collimatore della repressione.
Alì Khamenei, guida suprema dell'Iran, schierandosi con Mahmoud Ahmadinejad, ha incrinato il suo prestigio, assestando forse un colpo irrimediabile al sistema voluto da Khomeini. Negli slogan c'è stata una svolta significativa: non si grida più soltanto "Morte al dittatore" (Marg bar diktator) ma soprattutto "Khamenei assassino, la tua leadership è illeggittima".
Dalle piazze sale, sempre più forte, l'appello non alla republica islamica ma a quella iraniana: il nazionalismo sta diventando uno dei leit motiv della protesta.
Con quali effetti? In carcere è finito Ibrahim Yazdi, nel 1979 il primo ministro degli Esteri di Khomeini. In una delle sue ultime interviste, nel giugno scorso, mi disse in modo chiaro: «Questo sistema resiste fino a quando sarà capace di rappresentare la nazione e il nazionalismo iraniano». Oggi Yazdi va dietro le sbarre perché il regime teme persino la presenza di quest'uomo, anziano e malato, rimasto per decenni una voce isolata del dissenso.
Anche nello schieramento dei conservatori, che finora ha appoggiato Ahmadinejad, non potranno restare a lungo in silenzio. Oggi infatti tocca ai riformisti, domani potrebbe essere il loro turno soltanto perché osano esprimere un'opinione diversa da quella del gruppo al comando. Lo stesso discorso vale per i molti ayatollah: nel 1979 guidarono una rivoluzione per il prestigio acquistato in mezzo secolo di rivolte contro l'autoritarismo dei Palhevi, domani potrebbero finire ai margini di una società che li aveva posti ai vertici della leaderhip morale e politica.
Un timore espresso molte volte nel corso di numerose interviste dai maggiori ayatollah iraniani, da Sanei, ad Ardebili, a Khatami, oltre ovviamente a Montazeri. È vero che la guida suprema controlla il clero, foraggiato dalle fondazioni religiose, ma è altrettanto sicuro che il regime militare dei pasdaran relega i mullah al servizio del potere: non è stato questo l'obiettivo per cui venne abbattutto lo Shah.
Come reagiranno le guardie della rivoluzione a nuove proteste? Oltre alla repressione in atto, si presentano altre scelte pericolose. Come ogni regime in difficoltà aumenterà la tentazione di trasferire all'esterno le tensioni interne. Cosa che già in parte accade con la questione del nucleare e le provocazioni all'occidente e agli stati vicini, come la breve occupazione del territorio iracheno della scorsa settimana e il sostegno ai movimenti sciiti della guerriglia in medio oriente, dagli Hezbollah in Libano agli Huti dello Yemen.
All'inizio di quest'anno veniva data per certa, anche a Washington, la rielezione senza scosse di Ahmadinejad. Pochi forse credevano che dopo la repressione del giugno scorso la protesta iraniana continuasse. Quello che accade oggi smentisce ogni previsione. Per questo dall'Iran bisogna aspettarsi di tutto, oltre l'immaginabile. Fu così anche nel 1979, quando in pochi mesi lo Shah in Shah, il re dei re, fece le valigie.

29 dicembre 2009
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