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Dall'Irlanda al Vietnam la mappa del rischio

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Martedí 01 Dicembre 2009

Dubai, la Grecia... E poi? Non si limita a due soli nomi la lista delle situazioni delicate nel mondo. Il Vietnam, proprio in questi giorni, sta allarmando gli investitori, aggiungendosi al lungo elenco dei paesi ancora a rischio.
Hanoi è alle prese con forti pressioni valutarie. Il dong appare sopravvalutato agli investitori, che hanno già costretto il governo a tre svalutazioni, due nel 2008 e la terza, del 5%, decisa mercoledì. La Banca di Stato vietnamita ha però voluto evitare un sconfitta totale, e se da una parte ha ceduto alle pressioni, dall'altra si è irrigidita: ha ridotto al 3%, dal 5%, il margine di oscillazione permesso alla valuta, in alto o in basso, rispetto alla parità; e ha alzato i tassi d'interesse di un punto percentuale, all'otto per cento, per contrastare l'inflazione, salita al 4,35 per cento.
Non è detto che sarà sufficiente. Ormai i vietnamiti commerciano e risparmiano in dollari, vendendo essi stessi dong sul mercato nero. Da gennaio a mercoledì scorso, la valuta aveva subito una flessione del 12% circa nelle contrattazioni "informali" e dello 0,35 in quelle ufficiali. Il deprezzamento del 5% deciso mercoledì appare quindi limitato. «Tenuto conto del deficit commerciale e di quello corrente, sospetterei che il dong è ancora sopravvalutato. Continueremo a vedere aspettative di un ulteriore deprezzamento della moneta», ha spiegato alla Reuters Tai Hui della Standard Chartered.
Il governatore Nguyen Van Giau ha promesso interventi sul mercato, per sostenere la valuta, ma le riserve della banca centrale erano già calate ad agosto a 16,5 miliardi di dollari dai 23 miliardi di fine 2008. Il rischio di una crisi valutaria non è lontano, malgrado le lodi del Fondo monetario internazionale per le decisioni prese da Hanoi. Il Vietnam è un'eccezione, tra i paesi emergenti, che sono spesso - tenuto conto delle circostanze - in buone condizioni di salute. Dal Brasile a Taiwan, e agli altri paesi dell'Asia orientale, alla Cina, alla Russia e al Sud Africa: tutti, persino la Lituania e il Kazakhstan, hanno registrato tassi positivi di crescita nel secondo o nel terzo trimestre.
Può allora stupire, e sicuramente preoccupare, il fatto che molte situazioni ancora delicate ruotino attorno Eurolandia. L'Ucraina è l'eterna candidata alla crisi: la struttura economica, dominata dagli oligarchi, non è cambiata negli ultimi venti anni, come ha detto ieri il rappresentante della Ue a Kiev José Manuel Pinto Teixeira. Dopo il default della Naftogaz di settembre, il governo sta affrontando l'insolvenza tecnica della Ukrzalisnytsya, la rete ferroviaria: lo stato garantisce il debito da 700 milioni di dollari verso la Deutsche Bank e la Bers, ma non un altro, da 440 milioni, che sta rinegoziando. L'annuncio, insieme a quello della Dubai World, ha aumentato l'allarme sulla tenuta dei debiti quasi-sovrani.
Migliore sembra la situazione in altri paesi dell'Unione europea, ma in questi casi la stabilità economica dipende da quella politica. La Lettonia - che è stata a lungo sull'orlo del collasso - vota oggi il budget 2010, il bilancio "della salvezza". L'Ungheria lo ha fatto ieri, e con una maggioranza solida. La Romania dovrà eleggere domenica il nuovo presidente della Repubblica, dai forti poteri, e subito dopo - se le condizioni politiche lo permetteranno - varare le riforme chieste dal Fondo monetario internazionale per il salvataggio.
La situazione in Grecia richiama però l'attenzione su quanto sta accadendo dentro Eurolandia. Più che un default, in questo caso, c'è da temere una "rottura" dell'area valutaria, nel caso in cui Atene non riuscisse più a finanziare sul mercato il suo deficit. La differenza dei rendimenti dei titoli greci rispetto a quelli tedeschi, salita fino a 2,17 punti percentuali suona come un campanello d'allarme, insieme agli 1,76 punti segnati ieri dalla tormentata Irlanda. Nessun altro paese, però, è in situazioni analoghe: gli 0,85 punti dell'Italia, gli 0,60 del Portogallo e gli 0,59 della Spagna non sono certo rassicuranti, ma non sembrano minacciare la tenuta dell'Unione monetaria.
R.Sor.
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Martedí 01 Dicembre 2009
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