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3 / Il discorso integrale di Barack Obama a Oslo

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10 dicembre 2009

Io credo che il ricorso alla forza possa essere legittimo per motivi umanitari, come accaduto nei Balcani, o in altri luoghi segnati profondamente dalla guerra. L'inazione lacera le nostre coscienze e può comportare prezzi ancora più alti da pagare in seguito. Ecco perché tutte le nazioni responsabili dovrebbero abbracciare il ruolo che gli eserciti – con mandati ben chiari e definiti - possono rivestire in tempo di pace.

L'impegno dell'America nei confronti della sicurezza globale non potrà venire mai meno né vacillare. Ma in un mondo nel quale le minacce sono sempre più diffuse e le missioni sempre più complesse, l'America non può agire da sola. Ciò vale per l'Afghanistan. Ciò vale negli stati falliti quali la Somalia, dove al terrorismo e alla pirateria si sommano carestie e sofferenze umane di ogni tipo. E purtroppo, ciò continuerà a valere ed essere vero nelle regioni instabili per anni a venire.
I leader e i soldati dei Paesi della Nato, i loro amici e alleati, dimostrano questa verità tramite la capacità e il coraggio di cui hanno dato prova in Afghanistan. Ma in molti Paesi vi è uno scarto tra gli sforzi di coloro che servono una causa e l'ambivalenza dell'opinione pubblica in generale. Capisco perché la guerra non possa essere popolare, ma so una cosa: di rado è sufficiente desiderare la pace perché essa possa essere conseguita. La pace impone di assumersi responsabilità. La pace comporta sacrificio. Ecco per quale motive la Nato continua a essere indispensabile. Ecco per quale motivo dobbiamo rafforzare i nostri contingenti di peacekeeping, delle Nazioni Unite e delle singole regioni, e non lasciare il compito di occuparsene a pochi Paesi. Ecco perché noi rendiamo omaggio a coloro che tornano a casa dalle missioni di peacekeeping e di addestramento a Oslo e Roma, a Ottawa e a Sidney, a Dhakka e a Kigali. Noi li onoriamo non perché hanno fatto la guerra, ma perché hanno portato la pace.

Vorrei aggiungere ancora qualcosa sul ricorso alla forza. Anche quando prendiamo la difficile decisione di andare in guerra, dobbiamo pensare con grande chiarezza a come combattiamo. Il Comitato del Premio Nobel ha riconosciuto questa verità conferendo il suo primo premio per la Pace a Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa, il motore trainante all'origine delle Convenzioni di Ginevra.
Laddove il ricorso alla forza è necessario, abbiamo un interesse morale e strategico nell'attenerci strettamente ad alcune regole comportamentali. Anche quando affrontiamo un nemico crudele che non si attiene ad alcuna regola, noi crediamo che gli Stati Uniti d'America debbano rimanere modelli e portabandiera di come ci si comporta in guerra. È questo a renderci diversi da coloro che combattiamo. È da questo principio che attingiamo la nostra forza. Ed è per questo che ho vietato espressamente la tortura. È per questo motivo che ho disposto la chiusura di Guantanamo Bay. Ed è per questo motivo che ho riaffermato l'impegno americano ad attenersi alle Convenzioni di Ginevra. Quando facciamo dei compromessi con i nostri stessi ideali, gli stessi che vogliamo difendere, perdiamo la nostra identità e natura. Noi invece vogliamo onorare questi ideali, mantenendoci fedeli ad essi, non soltanto quando è facile farlo, ma anche quando è difficile.

Ho parlato finora delle questioni che dobbiamo affrontare con il cuore e con la mente quando decidiamo di fare una guerra. Ma consentitemi adesso di parlare del nostro impegno per evitare di effettuare una scelta così tragica, parlandovi di tre modi con i quali è possibile pervenire a una pace giusta e duratura.
Prima di tutto, quando abbiamo a che fare con nazioni che infrangono leggi e regole, credo che dobbiamo mettere a punto delle alternative alle violenze, che siano di per sé già sufficientemente dure e valide per modificarne il comportamento, perché se vogliamo una pace duratura, allora le parole proferite dalla comunità internazionale devono esprimere qualcosa di inequivocabile. I regimi che infrangono le leggi devono rispondere del loro operato. Le sanzioni devono essere reali ed esigere uno scotto preciso. L'intransigenza deve sposarsi a pressioni crescenti: e simili pressioni possono esserci soltanto quando il mondo agisce unito e coeso.

Un esempio urgente di ciò è lo sforzo per scongiurare il proliferare delle armi nucleari, il tentativo di delineare un mondo privo di atomiche. Alla metà del secolo scorso, le nazioni concordarono di attenersi a un trattato i cui termini erano chiari: tutte avrebbero avuto accesso all'energia nucleare a scopi pacifici. Le nazioni prive di armi nucleari vi avrebbero rinunciato. E coloro che possedevano armi nucleari si sarebbero adoperate per procedere al disarmo. Io mi sento vincolato a onorare questo trattato. È al centro stesso della mia politica estera, e sto collaborando con il presidente Medvedev per ridurre l'arsenale nucleare americano e russo.
Ma è altresì indispensabile per noi tutti pretendere che nazioni come Iran e Corea del Nord non aggirino il sistema. Coloro che affermano di rispettare le leggi internazionali non possono distogliere gli occhi quando queste leggi sono di fatto aggirate. Coloro che hanno davvero a cuore la loro stessa sicurezza non possono ignorare i rischi di una corsa agli armamenti in Medio Oriente o in Asia Orientale. Coloro che perseguono la pace non possono restarsene inerti e con le mani in mano mentre le nazioni si armano per una guerra nucleare.

  CONTINUA ...»

10 dicembre 2009
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