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È morto l'economista premio
Nobel Paul Samuelson

dal corrispondente Mario Platero

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14 dicembre 2009
Paul Samuelson (AP)

NEW YORK - Aveva 94 anni e dunque non può sorprenderci che Paul Samuelson, il più grande maestro di economia del ventesimo secolo, se ne sia andato. Eppure il vuoto che lascia è grande: per la scienza economica, per il suo sorriso, per la cultura, per la grazia con cui affrontava sempre qualunque polemica. Un uomo, è il caso di dirlo, d'altri tempi.
Nato a Gary, un paesino dell'Indiana il 15 maggio del 1915, Paul Anthony Samuelson proveniva da una famiglia ebraica di origine polacca. Suo padre, Frank Samuelson era un farmacista, sua madre, Ella Lipton, era una normalissima casalinga. Il padre perse molti soldi nella crisi del '29 e la famiglia si trasferì a Chicago, dove Paul studiò con passione fino a diventare presto un gigante intellettuale: «Colpiva la sua cultura umanistica oltre che quella economica» ci disse tempo fa un altro economista suo ex allievo, Jagdish Bhagwati . Era sempre disponibile. Con lui ogni intervista diventava una lezione, gradevole, illuminante: la logica di astrazioni complesse assumeva con lui contorni di praticità. La sua trasformazione della scienza economica? Non solo teoria, ma soluzione dei problemi: usava modelli matematici, rigore, chiarezza per affrontare e spiegare i rapporti causa effetto. Con la forza della statistica e con un collega dimostrò che le importazioni tessili e di prodotti di abbigliamento da un paese sottosviluppato si traducevano in un calo dei salari negli Stati Uniti. La tesi restò nella storia economica e divenne il "teorema Stolper-Samuelson". Divenne anche la bandiera dei protezionisti e dei teorici ante-litteram contro l'"outsourcing".

Samuleson ci ha spiegato l'acceleratore multiplo e la sintesi neoclassica: Smith in tempi di benessere, Keynes in tempi di crisi. Era un keynesiano convinto. Sempre a giocare di fioretto con il suo grande antagonista intellettuale, Milton Friedman, il padre del mercato ultralibero e del monetarismo. Con la crisi del 2007/2008 si è preso una rivincita morale sull'importanza del ruolo dello stato. Conoscendolo, ne avrebbe fatto a meno pur di evitare i rischi economici che abbiamo passato. E contro il suo stesso teorema, era favorevole al libero scambio sul mercato. «Paul Samuelson ha trasformato ogni cosa che ha toccato: le basi teoretiche del suo campo di ricerca, le teorie economiche che ha insegnato al mondo, il carattere e la statura del suo dipartimento e le vite dei suoi colleghi e dei suoi studenti», ha commentato in un comunicato Susan Hockfield, il presidente del Mit, la grande università di Boston dove ha continuato ad avere rapporti con gli studenti fino all'ultimo.

Ha stabilito molti record. È stato il primo a prendere nel 1970 il premio Nobel per l'economia. Grande maestro. Il suo libro di testo, "Economics" è rimasto leggendario: pubblicato per la prima volta nel 1948, ha avuto 60 ristampe. A 50 anni dalla prima uscita continuava a vendere 50.000 copie all'anno. Fra i suoi allievi, il presidente della Fed Ben Bernanke e persino John Kennedy, quando si preparava alle elezioni. Samuelson rifiutò poi l'offerta di Kennedy di diventare il primo capo dei consiglieri economici della Casa Bianca: «Voglio essere sempre libero di pensare e di parlare», disse. Alcuni suoi allievi, Joe Stiglitz ad esempio, non hanno seguito il suo principio e se ne sono pentiti. Paul Krugman, di nuovo suo allievo, ha invece scelto di fare il professore. Suo nipote, Larry Summers, oggi alla Casa Bianca, ha preferito la politica alla cattedra. Due cose che dovrebbero essere sempre ben separate, ma che anche da noi si confondono. Molti politici restano professori e viceversa. Difensore strenuo dei deboli, difendava anche l'interesse della collettività: «Dica ai sindacati italiani che la flessibilità serve al paese», ripeteva nelle interviste. Amava giocare a tennis con Franco Modigilani, anche lui suo allievo. Sul campo, raccontava, litigavano sui punti. E cercavano di trarne conseguenze. Teoriche, ovviamente.

14 dicembre 2009
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