NEW YORK – E' vero: con la vittoria al Senato di oggi, l'accordo in America per una grande riforma sanitaria ispirata dalla sinistra democratica è ormai cosa fatta. E' anche vero che il vento della storia soffia forte su una Capitale gelida, ancora travolta dai postumi di una bufera di neve: questo progetto, timbrato Barack Obama, diventerà la più importante riforma sociale in America dall'introduzione del Medicare nel 1965. Tanto per non sbagliare, il presidente l'ha persino paragonata alle riforme sociali di Roosevelt negli anni Trenta.
Una grande vittoria per i democratici dunque? Storica si, politica non necessariamente. Soprattutto se si guarda alle elezioni del prossimo novembre. La polarizzazione degli schieramenti sul campo resta fortissima. Basta guardare al Senato dopo quattro giorni di scontri: il dialogo fra i senatori di schieramenti opposti, in genere sempre gradevole e civile, è interrotto. La sala da pranzo riservata al Senato, dove per decenni i politici si trovavano da soli per chiacchere e accordi informali, è deserta da mesi. Il muro contro muro lo vediamo nei voti: per tre volte di fila il risultato al Senato è stato 60 a 39. L'approccio bipartisan è stato impossibile. Ai tempi di Lyndon Johnson, quando si creò il Medicare, il voto al Senato fu di 68 voti a favore 21 contrari, 55 democratici votarono insieme a 13 repubblicani e 7 democratici insieme a 14 repubblicani. Una spaccatura così marcata non ha precedenti. Questa tendenza sempre più "ostile" continuerà almeno fino all'appuntamento elettorale di metà mandato, il prossimo novembre, con un dibattito che si preannuncia acido, cattivo, denso di attacchi personali e di slogan da bassifondi: anche in America, come in altri spicchi del pianeta, gli estremi, le iperboli, le dichiarazioni provocatorie alla Glenn Beck su Fox news, pagano. Al punto che il New York Times di oggi osserva: «questo voto segna il culmine di una generazione di polarizzazione partigiana del sistema politico americano e una caduta verticale della collegialità e della collaborazione nel governare, che si manifesta in modo inversamente proporzionale agli aumenti delle pressioni di lobby, dei soldi, del ciclo notizie 27/7, delle ostilità dei talk show e nella blogosfera".
Il conto, salato, per ora è sul tavolo dei democratici. Dopo la bagarre mediatica, gli americani sono molto sospettosi di questo nuovo piano. E per quel che abbiamo visto nel dibattito nella Capitale, ascoltato da chi ha partecipato in prima linea alla battaglia, raccolto dai sondaggi, la maggioranza dell'elettorato resta saldamente ancorata al centro destra. Del resto, l'ultima rilevazione media dei sondaggi di oggi conferma che solamente il 38,4% degli americani è favorevole alla riforma. La maggioranza resta contraria. Di più, l'indice di gradimento di Barack Obama è sceso per la prima volta al di sotto del 50%, al 49%. Per questo i repubblicani non mollano. Non vogliono erodere questo vantaggio di "posizione", forti di un dato statistico abbastanza costante: se alle elezioni di metà mandato un presidente gode di un indice di gradimento al di sotto del 50%, il suo partito perde mediamente 41 seggi in parlamento.
Il punto debole di Obama è quello di aver promesso troppo: risparmi sui costi sanitari, rientro sul disavanzo pubblico, tasse solo per le fasce più ricche della popolazione, con redditi fra i 200 e i 250.000 dollari all'anno. Su questo i repubblicani lo attenderanno al varco. Anche perché i dettagli tecnici non ci sono ancora. Il costo stimato di 871 miliardi di dollari in dieci anni potrebbe lievitare esponenzialmente. Le aziende, soprattutto quelle più piccole, cominceranno ad esplorare programmi alternativi, lasciando ai dipendenti la responsabilità di sottoscrivere direttamente le polizze, generando così scontento. La promessa "tasse per i ricchi" potrebbe essere violata con blocchi di deduzioni che porteranno un aumento delle aliquote anche per i redditi inferiori ai 200.000 dollari all'anno. Questi dettagli emergeranno solo più in là. E alla Casa Bianca si sa bene che la vicenda è seria. Ma i democratici sono pronti al contrattacco. Già da oggi i titoli di prima pagina dei siti e delle televisioni parlano solo di vittoria. Lo rifaranno quando ci sarà il passaggio finale e quando Obama pronuncerà il discorso sullo stato dell'Unione. Lo stratega di Obama David Axelrod ha anche in serbo una virata a destra e programmi per migliorare il tasso di occupazione. Questa riforma sanitaria ha insomma già mosso variabili impazzite con una certezza. Al di là dell'impatto fondamentale sulla vita degli americani, darà una risposta alla nuova battaglia già in corso, quella per il controllo del baricentro politico del paese.