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Soccorsi nel caos Obama: pronti a uno sforzo storico

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17 gennaio 2010

PORT-AU-PRINCE. Dal nostro inviato
Piazza Saint-Pierre. Nove del mattino del 16 gennaio. Qui c'era un bel giardino. Verde e spazioso. Un'isola di qualità urbana in una metropoli che negli ultimi 40 anni è cresciuta solo a forza di bidonville. Oggi è stato trasformato in un'enorme tendopoli. Affollata di gente disperata. Vedo due ragazzi che si sciacquano la faccia e la bocca con l'acqua di un rivolo che scorre sul bordo del marciapiede, proveniente da una tubatura rotta che miracolosamente ne trasporta ancora. Si lavano così.

Questa gente non ha cibo, né acqua, né servizi igienici. Qui di aiuti umanitari, almeno per ora, non si è vista traccia. Anche se ufficialmente la distribuzione alimentare è partita sin dal primo giorno, coordinata dal World Food Program. Il problema è che si sta muovendo a passi da lumaca. «A Port-au-Prince abbiamo cominciato due giorni fa con due punti di distribuzione, dove sono state consegnate 2mila razioni. Ieri avevamo programmato di distribuirne 12mila, ma siamo riusciti ad arrivare solo a 5.500. Oggi puntiamo a 45mila e domani 60mila. Ma non so se ci riusciremo», dice al Sole-24 Ore Benoit Thiry, vice direttore del Wfp ad Haiti.

Se si considera che Port-au-Prince conta tre milioni di abitanti, si può capire che, a quattro giorni dal sisma, siamo ancora a cifre infinitesimali. Thiry spera in un'accelerazione esponenziale: «Il presidente haitiano Préval ci ha chiesto di aiutare il governo a individuare 14 punti nella città dove creare centri di distribuzione di massa». Finora ne sono stati individuati appena quattro e uno solo è in fase di attivazione.

Il problema sarà anche trovare le forze militari sufficienti per garantire la sicurezza. «Per ora la Minustah ci ha detto di avere forze sufficienti. Ma non so se sarà lo stesso quando avremo 14 centri di distribuzione», aggiunge Thiry. Le forze della missione Minustah sono a oggi costituite da soli 7mila Caschi blu e 2mila poliziotti. Ma le unità sono disposte su tutto il territorio nazionale. La polizia haitiana ha altri 8.500 uomini. Ma non sono tutti operativi. E l'esercito è stato abolito dall'ex presidente Aristide nel 1996, in risposta al colpo di stato militare che lo aveva defenestrato cinque anni prima. È difficile pensare che 15-17mila possano essere sufficienti in un paese di 27mila chilometri quadrati con 10 milioni di abitanti. Il vicedirettore della missione Wfp spera nei rinforzi. E cita le truppe americane. Evidentemente nessuno gli ha ancora detto che la Joint Task Force americana ha compiti di tutt'altra natura. «Non abbiamo funzione di sicurezza. Almeno fin quando non cambieranno le cose siamo qui solo per fornire supporto logistico», ci spiega il capitano John Kirby, portavoce della JTK. I problemi logistici sono peraltro una delle principali sfide da superare. «Il terremoto di Haiti è il peggior disastro che l'Onu abbia mai dovuto affrontare nella sua storia - ha detto ieri una portavoce delle Nazioni Unite a Ginevra - perché ha distrutto tutte le strutture locali dell'isola».

Nel frattempo continuano gli sforzi dei team di ricerca e salvataggio e le operazioni di recupero dei cadaveri. «Abbiamo 30 squadre specializzate e ieri abbiamo estratto dalle macerie 34 persone ancora vive», dice David Fabi della Protezione civile Ue. Quanto ai morti, a ieri sera erano stati recuperati e seppelliti circa 25 mila cadaveri. A riferirlo il primo ministro del Paese caraibico, Jean-Max Bellerive. Mentre altri corpi, per un totale di 5 o 6 mila, sono stati sepolti dagli uomini del contingente Onu e da volontari e dalle organizzazioni non governative (sempre il palazzo di Vetro ieri ha confermato la morte del suo rappresentante ad Haiti, Hedi Annabi, rimasto vittima del sisma). Secondo il ministro dell'Interno, Paul Antoine Bien-Aime, i morti potrebbero essere tra le 100mila e le 200mila.

La raccolta dei rifiuti accumulati sulle strade, invece, non è ancora neppure partita. «Normalmente ad Haiti ci sono poche malattie endemiche a carattere epidemico. Tre mesi fa si è verificata un'epidemia di difterite che ha colpito circa 27mila persone, ma abbiamo potuto far immediatamente partire un programma di vaccinazione di emergenza», dice Francesco Gosetti, capo delegazione Ue ad Haiti. Ma in un paese con fogne a cielo aperto e dove il 70% degli elementi di contaminazione atmosferica e dovuto alle feci, se non si avvierà la raccolta dei rifiuti al più presto le conseguenze sanitarie saranno drammatiche. Le condizioni del sistema sanitario sono altrettanto disperate. A detta di un funzionario di una Ong, gli ospedali sono per lo più fuori uso. «Mancano i medicinali e buona parte dello staff non può venire a lavorare», ci dice. Si spera che ad aiutare sia l'arrivo da Parigi di un team dell'organizzazione "Architetti senza frontiere" con il compito di valutare le condizioni dei principali edifici pubblici, a cominciare proprio dagli ospedali. Dall'Italia è arrivata anche una missione della Farnesina con alcuni medici dell'Università di Pisa in appoggio all'ospedale creato dalla fondazione Rava.

  CONTINUA ...»

17 gennaio 2010
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