Non è chiaro se il fatidico sorpasso sia avvenuto con esattezza nel 2007 o nel 2009. Ma è ormai certo che il pianeta è entrato nell'era dell'urbanesimo dominante. Per la prima volta nella storia la maggioranza dell'umanità vive più addensata nelle città che dispersa nelle campagne. E, soprattutto, cerca fortuna (intesa come casa, lavoro, una minima qualità di vita e quantità di servizi essenziali) in megalopoli sempre più grandi.

Le conseguenze sono potenzialmente enormi e da tempo soprattutto l'Onu mira ad analizzarle per cercare di dominare un fenomeno che sembra inarrestabile. Dal 24 al 26 febbraio più di mille sindaci di oltre un centinaio di paesi parteciperanno a Rotterdam al meeting biennale della "World Alliance of Cities Against Poverty", promosso dall'Undp, per valutare le tante sfide alla vivibilità e combattere il degrado dell'ambiente urbano. Iniziativa analoga l'Un-Habitat terrà a Rio de Janeiro, dal 22 al 26 marzo, con la V sessione del World Urban Forum, che studierà la convivenza nelle megalopoli.

A preoccupare è soprattutto il trend: l'attuale 50% (pari a circa 3,4 miliardi) di "cittadini" salirà al 60-65%, cioè a 5-5,5 miliardi d'individui entro il 2030. Va quindi considerato che nelle prime 25 megalopoli mondiali (tutte superiori ai 10 milioni di abitanti) si accalcano già ora 450 milioni d'individui, pari a quasi il 7% dell'intera popolazione mondiale. Anche il numero di queste megalopoli sta diventando allarmante: nel 1950 solo due città (Londra e New York) superavano i 10 milioni di abitanti. Nel 1975 si erano aggiunte Shanghai e Mexico City. Nel 2008 erano già schizzate a 27 e nel 2015 (poco più in là di domani, in termini temporali) saranno quasi 40.

Assicurare prima di tutto un tetto e poi standard minimi d'istruzione, salute, trasporti, svago, aria respirabile, acqua potabile e fognature a masse di 15-25 milioni di persone spesso accalcate in slum degradati appare un'impresa titanica. Là dove le risorse finanziarie reperibili per questi fini sono adeguate – sia per le disponibilità degli Stati, sia per il sufficiente reddito dei loro abitanti, che pagano imposte a esso correlate: nelle megalopoli occidentali, Tokio, New York, Londra o Los Angeles, in parte anche Seul e San Paulo – e l'aumento dei residenti ormai limitato, questi obiettivi si raggiungono con risultati accettabili o addirittura buoni.

Là dove invece milioni di diseredati si radunano in masse rapidamente crescenti alla ricerca di una mera sopravvivenza – e dove quindi un reddito certo e le imposte relative sono spesso una chimera – la capacità di finanziare gli indispensabili servizi si riduce drasticamente. Con la forte probabilità d'innescare un circolo vizioso dagli effetti devastanti: megalopoli con sistemi fognari inadeguati e piene di rifiuti, oltre al rischio di dilaganti epidemie, minano certamente la salute dei cittadini, accrescendo la spesa sanitaria; l'acqua potabile scadente e l'aria inquinata rinviano alle medesime conseguenze; sistemi sanitari insufficienti o troppo costosi riducono la vita media dei cittadini, ma anche la qualità e quantità del lavoro che essi sono in grado di produrre. Trasporti inefficienti vanificano gran parte delle possibilità di sviluppo economico, generato in loco o importato con gli investimenti dall'estero. Senza tener conto degli ingenti costi sociali generati dai livelli di malavita e corruzione, che rappresentano un sottoprodotto diffuso di convivenze degradate.

Si può dunque uscire da questo circolo vizioso? In apparenza, sembra impossibile proporre soluzioni praticabili là dove la forte carenza di capacità di spesa si associa a tassi d'incremento di popolazione urbana senza controllo. L'unica ricetta proponibile nel lungo periodo risulta un "mix" di controllo dei flussi demografici interni (le campagne devono ridiventare un luogo allettante per vivere e guadagnare) e di tassi di sviluppo elevati, che costituisca la base di un'adeguata ricchezza da distribuire. In questo quadro ogni servizio dev'essere assicurato al minor costo possibile, ma incrociato con un prezzo che, senza dissuadere dalla sua accessibilità, impedisca gli sprechi.

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