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Diminuiscono i casi nella Chiesa americana

di Claudio Gatti

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26 marzo 2010

È un po' come con la disoccupazione. In America l'apice della crisi sembra superato. I dati stanno decisamente migliorando. Ma è ancora presto per dire che la Chiesa sta uscendo dal tunnel in cui è entrata otto anni fa, quando è esploso lo scandalo degli abusi sessuali sui bambini.
L'impatto è stato devastante. Secondo l'ultimo rapporto annuale della Conferenza episcopale Usa, il prezzo pagato finora ha superato i 2,6 miliardi di dollari. Stima però contestata da organizzazioni laiche nate in questi anni, secondo le quali il costo è già stato di oltre tre miliardi. Il trend più recente è comunque positivo. O meglio: meno negativo. Martedì scorso la Conferenza episcopale ha annunciato che nel 2009 la Chiesa ha pagato alle vittime (o presunte tali) 55 milioni di dollari. Contro i 324 milioni del 2008. I costi reali hanno comunque sfiorato i 120 milioni, perché altri 29 milioni sono andati nelle parcelle degli avvocati, 17,5 sono serviti a pagare spese legali e terapeutiche aggiuntive e 16 per chiudere procedimenti contro membri di vari ordini religiosi. Il rapporto rivela inoltre che nel 2009 sono state presentate 115 «denunce credibili» contro preti e diaconi, un calo del 35% rispetto all'anno precedente.

«I numeri sono in miglioramento. Ma la situazione rimane critica», commenta Charles Zech, professore di economia della Villanova University che da anni studia l'impatto finanziario dello scandalo. «Con la crisi economica, e l'impatto che ha avuto sugli investimenti diocesani e sui contributi dei parrocchiani, la Chiesa non può permettersi che le cose continuino così ancora a lungo».
Il rischio bancarotta finora è stato contenuto a livello diocesano. Dall'inizio dello scandalo, sette diverse diocesi - da Boston a San Diego, da Tucson a Portland - sono state costrette a chiedere la bancarotta controllata. L'ultima, nell'ottobre scorso, è stata quella del Delaware. La quale non ha saputo trovare altro modo per far fronte all'ondata di denunce arrivata dopo che il parlamento statale aveva approvato una legge che creava una finestra di due anni per "uno sguardo al passato" sospendendo così qualsiasi limite temporale alla prescrizione.

Soltanto nei quattro mesi precedenti alla scadenza sono stati depositati in tribunale ben cento nuovi esposti. Fino a portare il totale delle vittime dichiarate a 258. La risposta della Chiesa locale è stata dunque quella di seguire l'esempio di Boston e dichiarare il fallimento. Il che ha avuto l'effetto collaterale di ostacolare - per motivi tecnico-legali connessi alla dichiarazione di bancarotta - l'accesso a documenti interni potenzialmente imbarazzanti da parte degli avvocati delle vittime. «La strada della bancarotta è l'ultimo disperato tentativo di continuare a nascondere la verità e impedire che vengano rese pubbliche migliaia di pagine di documenti che proverebbero la complicità o la responsabilità della gerarchia cattolica», ha dichiarato Thomas Neuberger, avvocato di 88 presunte vittime.

Occorre sottolineare però che la risposta della Chiesa Usa allo scandalo non è stata circoscritta alla difesa dalle accuse o dal rischio del collasso economico. Sull'intero territorio nazionale è stato per esempio lanciato il Child Abuse Awareness, un programma di sensibilizzazione del clero e del personale laico di scuole e parrocchie. Oltre 1,8 millioni di preti, diaconi, monaci, educatori, volontari e seminaristi hanno partecipato a corsi speciali e circa sei milioni di bambini e studenti hanno ricevuto istruzioni per renderli consapevoli del problema e del proprio diritto a un ambiente sicuro.

«La Chiesa americana è stata la prima a entrare nell'occhio del ciclone degli abusi sessuali. E sta cercando di essere la prima ad uscirne», commenta il newyorkese Robert De Benedetto.
L'esposione dello stesso bubbone in Irlanda potrebbe però avere ripercussioni anche da questa parte dell'Atlantico. Secondo Terence McKiernan, presidente di Bishop Accountability, «la situazione irlandese è strettamente legata a quella statunitense. Perché preti accusati in Irlanda sono stati trasferiti negli Stati Uniti e preti accusati qui hanno trovato rifugio in Irlanda».

26 marzo 2010
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