I cinesi non consumano come potrebbero, e come dovrebbero per ribilanciare gli enormi squilibri globali. All'accusa di molti osservatori occidentali, si accompagna la ricetta di una rivalutazione dello yuan: è il cambio sottovalutato, sostengono, che comprime i consumi.
In realtà, secondo gli analisti di cose cinesi, a comprimere i consumi è soprattutto un fattore che poco ha a che vedere con l'andamento del cambio: la paura del futuro. In un paese che ha un sistema di sicurezza sociale, a voler essere generosi, primitivo, il cinese risparmia perché teme per sé e per la sua famiglia, in tempi di malattia, di disoccupazione o di pensione. Le autorità cinesi lo sanno e stanno mettendo mano alla costruzione di un sistema che garantisca fasce più ampie della popolazione. Ma è un lavoro che richiederà tempo. Nel frattempo, i cinesi, salvo le fasce più abbienti della popolazione, soprattutto a Pechino e sulla costa, risparmiano.
La situazione però sta cambiando più rapidamente di quanto si pensi. La quota della Cina nel commercio mondiale è oggi dell'8%, il quadruplo di una quindicina di anni fa. E non è tutto export: a marzo, per la prima volta da sei anni a questa parte, Pechino accuserà un deficit commerciale (per quanto discutibili siano sempre le statistiche cinesi). Ed è inevitabilmente destinato a crescere il mercato interno di un'economia che, secondo i calcoli di Jim O'Neill, l'economista di Goldman Sachs inventore della formula "Bric" (le nuove potenze emergenti che, oltre alla Cina, comprendono Brasile, Russia e India), sarà grande come quella americana già nel 2027. Oggi la Cina è soprattutto un grande importatore di materie prime e i maggiori beneficiari sono perciò spesso gli altri emergenti ricchi di commodities, come il Brasile o i paesi del Golfo.
Ma quest'anno, in cui i paesi avanzati sono ancora alla prese con una ripresa post-crisi asfittica, il 30% della crescita dei consumi globali verrà dalla Cina e così il 42% dell'aumento di vendite di auto nel mondo. Una finestra sul futuro.