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Il direttore Fmi: l'Italia non è un paese a rischio

di Rossella Bocciarelli

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17 Marzo 2010

«L'Italia non è a rischio» e ha saputo «gestire benissimo il suo debito pubblico». Il giudizio è del direttore esecutivo del Fmi, Arrigo Sadun, che ieri ha presentato, insieme a Paolo Savona, presidente di Unicredit group-Banca di Roma, il volume della rivista Economia italiana L'Italia nell'economia internazionale dal dopoguerra ad oggi. Sadun, che in questi giorni è in Italia anche per accompagnare i superispettori dell'Fmi in visita per il consueto check up annuale, che consegneranno la "lettera" al ministro dell'Economia il 30 marzo, ha tenuto a ricordare che non riguarda certo l'Italia l'acronimo usato per indicare i paesi che faticano a tenere il passo con l'Europa. «La parola spregiativa "Pigs" - ha spiegato infatti – si scrive con una sola i e non si legge Italia ma Irlanda, quindi non ci riguarda. Chi insistesse - ha aggiunto – farebbe un doppio analfabetismo: uno letterale e uno economico, perché l'Italia non c'entra».
Secondo Sadun, «potremmo insegnare ad altri come gestire il debito pubblico perché lo abbiamo gestito bene, anzi benissimo». L'economista ha evitato con cura di entrare nel merito delle valutazioni espresse dagli ispettori del Fondo, che dopo aver iniziato da Milano il proprio tour di documentazione sono approdati in questi giorni a Roma. Risulterebbe tuttavia dai primi colloqui che gli esperti di Washington siano stati favorevolmente impressionati dalla tenuta della finanza pubblica, di fronte a una recessione molto più severa del previsto.Infatti, nel World economic outlook presentato a ottobre, quando il Fondo ancora riteneva che in Italia la flessione del Pil sarebbe stata pari soltanto al 3,2%, lo stock del debito lordo veniva cifrato per il 2009 a quota 115,8% del Pil. Ora, si dà il caso che proprio quello sia stato, a consuntivo, il livello del rapporto debito-Pil italiano; a fronte, tuttavia, di una flessione dell'economia nel 2009 rivelatasi superiore al 5 per cento. Tutto ciò potrebbe convincere gli esperti, come trapela dalle prime riunioni con gli official italiani, a ritoccare verso il basso la previsione di stock del debito per il 2010, portandola al 117,6% del Pil e a far slittare al 2011 la precedente stima di un debito al 120,1 per cento. Si tratta di cifre non distantissime da quelle presentate dal nostro governo a Bruxelles nel programma di stabilità secondo il quale il debito/pil sarà quest'anno a quota 116,9% per scendere nel 2011 a 116,5% e a 114,6% nel 2012. Naturalmente il consiglio della Commissione europea, contenuto nella sua valutazione del programma, è quello di «cogliere ogni ulteriore opportunità per accelerare la riduzione del debito/pil». Il rischio, infatti, è che la sua evoluzione possa risultare meno favorevole «specialmente dopo il 2010, a causa dei rischi per il consolidamento del bilancio a fronte di una possibile crescita del pil meno favorevole di quanto assunto nel programma di stabilità». Bruxelles ritiene inoltre importante che siano migliorati i controlli sulla spesa e che «le regole del federalismo fiscale migliorino la responsabilità dei governi locali». Dell'economia italiana e della necessità di sostenere la sua collocazione nel contesto internazionale si sono occupati, intanto, ieri a Palazzo Koch, durante la terza conferenza Mae-Banca d'Italia, anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, e il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ed entrambi hanno evidenziato la crescente collaborazione istituzionale tra il ministero degli Esteri e la Banca d'Italia, attraverso la rete degli addetti finanziari della Banca in servizio presso le ambasciate.
Nel suo intervento di saluto, Draghi ha ricordato che, sotto il profilo congiunturale, la drammatica esperienza della crisi ha lasciato spazio a una ripresa ancora limitata, fragile e diversificata, per area e per intensità.
Ma il Governatore ha detto anche che nel mondo si va ora delineando un diverso assetto negli equilibri economici perché si stanno affacciando sullo scacchiere mondiale nuovi attori, tanto in America Latina quanto, soprattutto, in Asia. Proprio la crisi e i suoi postumi rendono quindi necessario un lavoro di comprensione da realizzare "sul campo", ha in sostanza affermato Draghi.

17 Marzo 2010
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