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Una medaglia a chi non spara. I paradossi della guerra politically correctdi Gianandrea Gaiani |
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16 maggio 2010
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I soldati impegnati in Afghanistan che si astengono dal far fuoco o limitano l'uso delle armi potrebbero ricevere una medaglia al valore. Questa la proposta formulata dal generale britannico Nick Carter, alla testa di quasi 50.000 mila militari alleati del Comando Regionale Sud di Kandahar, che viene attentamente valutata da Pentagono e Nato.
L'obiettivo è ancora una volta evitare o limitare i rischi di colpire civili, "danni collaterali" che hanno un crescente peso politico e d'immagine presso l'opinione pubblica in Occidente e creano difficoltà nei già non facili rapporti tra il presidente afghano, Hamid Karzai, e le forze alleate. Dall'inizio dell'anno le forze Nato hanno ucciso per errore 90 civili, 39 in più rispetto ai primi quattro mesi del 2009 ma in un contesto bellico molto più infuocato, con operazioni in corso in molti centri abitati e un numero di combattenti senza precedenti nel conflitto afghano. In termini numerici le perdite tra i civili registrate in questa guerra sono in assoluto le più basse nella storia dei conflitti contemporanei, inclusa la guerra in Iraq. I "danni collaterali" costituiscono però un forte ostacolo alla conquista dei cuori e delle menti degli afghani, almeno secondo il comandante delle truppe alleate, il generale Stanley McChrystal che ha impartito ordini precisi che limitano già l'uso di armi pesanti e dei raids aerei in caso di rischi per la popolazione. C'è da cederci considerato che quest'anno i caduti tra le forze alleate sono ormai 200 (oltre la metà statunitensi) quindi più del doppio dei civili. Per Sholtis, "questa limitazione è un atto di disciplina e coraggio non molto differente da quelli registrati nelle azioni di combattimento". Ma se decorare chi decide di non sparare può sembrare una buona idea ai vertici militari, chi sul campo di battaglia vive, combatte e muore non sembra pensarla così.
Un soldato americano schierato in Afghanistan teme che "direttive confuse rendono più difficile l'autodifesa dei soldati" e un capitano dei marines reduce dall'Iraq bolla senza appello l'ipotesi della nuova decorazione come "una pessima idea" perché "ci hanno insegnato a non esitare in situazioni di pericolo per non mettere in pericolo la nostra vita e quella dei commilitoni, e ora ci dicono il contrario". In effetti le regole d'ingaggio hanno sempre messo in testa alle priorità militari la "force protection", cioè la protezione delle vite dei soldati così come i principi della guerra hanno sempre previsto di concentrare il massimo del potere distruttivo sul nemico. "Purtroppo ci stanno riducendo a una forza di polizia" commenta con sarcasmo un soldato americano sotto anonimato. Ci sono soldati che non escono mai dalle basi di Bagram o Kandahar. Tano vale lasciarci tutti al sicuro nelle basi senza combattere il nemico e distribuire a tutti medaglie al valore".
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