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La Russia guarda la marea nera
sospesa tra ansia e opportunità

di Antonella Scott

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5 maggio 2010

MOSCA. Vista dalla Russia, l'esplosione della piattaforma di Bp nel Golfo del Messico può sembrare un'opportunità, oppure un terribile avvertimento. Un'opportunità per la Russia in quanto esportatore di gas e petrolio, avvantaggiato dai possibili contraccolpi del disastro sulla nuova politica energetica americana, che avrebbe ridotto la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni. Per gli ambientalisti russi, invece, c'è ben poco da festeggiare: se un incidente simile avvenisse da queste parti, ricordano, intervenire sarebbe ancora più difficile, e ben più costoso.

E' un allarme che già ha lanciato il Wwf a tutti i paesi che si stanno lanciando nell'esplorazione dell'Artico: Stati Uniti, Canada, Danimarca, Norvegia e Russia hanno dato il via a una corsa alle risorse che il restringimento dei ghiacci potrebbe rendere più accessibili. Ma nell'Artico, ricorda il vicepresidente del Wwf Bill Eichbaum, la corsa al petrolio rischia di provocare una crisi ben peggiore di quella del Golfo del Messico a causa delle temperature estreme, lo stato dei ghiacci, la mancanza di regole e di un piano d'azione concordato tra le nazioni che si affacciano sulla regione. "L'incidente del Golfo è avvenuto in un luogo in cui ogni risorsa era disponibile, non è così sull'Artico", ha detto Eichbaum.

La Russia, ricordano gli ambientalisti di Greenpeace, non è tanto a rischio per le piattaforme offshore, che non sono molte; seri problemi nascono dal cattivo stato degli oleodotti, spesso molto vecchi, e dalla mancata osservanza delle norme di sicurezza nei giacimenti russi sull'Artico, nella regione di Perm e di Komi. Aleksej Jablokov, consulente per l'Accademia delle Scienza russa, ha dichiarato al Moscow Times che gli oleodotti russi registrano ogni anno 30-40mila episodi di perdite, spesso tenute lontane dai media e dal pubblico. E secondo Greenpeace Russia soltanto da gennaio tre perdite hanno interessato l'oleodotto che unisce la Siberia orientale al Pacifico, gestito dalla statale Transneft. Nella regione di Komi vicino alla Finlandia, invece, la popolazione locale ancora risente dei danni provocati nel 1994 da un oleodotto arrugginito, 100mila tonnellate di petrolio disperse su 70 ettari di terra.

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5 maggio 2010
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