Al momento il Parlamento britannico è senza una maggioranza chiara, al termine della campagna elettorale più incerta dell'ultimo quarto di secolo. Un sistema elettorale impietoso, e non del tutto comprensibile per chi come noi è abituato a ragionare su uno sfondo proporzionale anche nel contesto di un sistema maggioritario, ha privato il partito conservatore di quel ritorno a Downing Street che David Cameron andava preparando da cinque anni. Un'occasione perduta per una storia di coraggiosa innovazione politica, che lo ha visto scommettere sulla conquista di quell'area di centro che aveva garantito al New Labour la realizzazione delle sue politiche più innovative. Un centro da intendersi non nell'accezione italiana, e dunque come area paludosa del compromesso opaco, ma come leva delle riforme e del cambiamento. Cameron ha dunque capovolto la retorica del nostalgismo thatcheriano nella quale erano affondati i Tories scommettendo su una società dove la diversità etnica e culturale, l'attenzione all'ambiente e la garanzia di servizi pubblici efficienti sono ormai considerati pilastri del discorso pubblico. Ed è riuscito a far convivere (per ora in termini puramente teorici) una parte del bagaglio ideale del Partito conservatore con le suggestioni più avanzate del neolaburismo, che tra i suoi successi può ben vantare quello storico di aver cambiato nel profondo la costituzione simbolica e culturale della Gran Bretagna. D'altra parte il Labour smentisce le previsioni più catastrofiche, tenendo ben saldo il secondo posto e confermando quel vasto radicamento dal quale potrà uscire in tempi relativamente brevi un successore alla leadership ormai esaurita di Gordon Brown. E' un risultato comunque scoraggiante, per un paese che già nei prossimi giorni avrà bisogno di una guida politica chiara e lucida per tempi tutt'altro che semplici.