Una pioggia inesauribile. Che a ogni stagione scende più copiosa. È quella delle domande che i cittadini, ma non solo, recapitano in Corte d'appello per ottenere un particolare tipo di ragione. Quella che assegna il diritto a un indennizzo per ogni anno con cuilaGiustizia,intesa come "macchina giudiziaria", ritarda a completare il proprio corso.
Le cifre sono inequivocabili: se la tendenza dell'ultimo dato disponibile, relativo al primo semestre 2006, sarà confermata a consuntivo,l'incremento rispetto al 2005 è del 35% circa. Più o meno lo stesso aumento che si era registrato nei due anni precedenti. Questo vuol dire che il contenzioso prodotto dalla Legge Pinto, che ha tradotto in italiano gli imperativi della decisione quadro sulla ragionevole durata dei processi, cresce di anno in anno di un terzo. Tant'è che le Corti d'appello cominciano a manifestare segni di insofferenza.
I procedimenti pendenti alla fine del periodo considerato ammontano a oltre 12.500. Numeri che non sembra intendano scendere, ma che al contrario sono destinati ad aumentare vertiginosamente anche alla luce delle ultime sentenze che hanno di fatto allargato la platea dei titolari del diritto a vedere soddisfatta la voglia di giustizia in tempi rapidi.
Il riferimento è alle società e alle persone giuridiche in generale cui recentemente la Cassazione ha attribuito il potere di utilizzare questo nobilissimo strumento di tutela (si veda il Sole24 Ore dello scorso 14 maggio).
Altrettanto nobile è l'obiettivo che i progetti Mastella di riforma dei processi civile e penale si sono prefissati.Quello cioè di chiudere la partita nelle aule giudiziarie in cinque anni. Giusti giusti per mettersial riparo dalle maglie della Legge Pinto.
Il dibattito sull'efficacia delle proposte è aperto, ma di certo Governo e Parlamento si devono dare un orizzonte. E questa può essere l'occasione, perché le cifre appena citate rischiano di avere conseguenzenafaste se le inaugurazioni dell'anno giudiziario dovessero continuare a lungo a sciorinare gli stessi dati. E cioè che una controversia civile possa richiedere 887 giorni di media in primo grado o 1.020 per l'appello, per non parlare del giudizio di Cassazione, bruciando e abbondantemente superando quei confini definiti invalicabili dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Nel suo recente rapporto sulla durata dei processi nei Paesi membri del Consiglio d'Europa,la Commissione europea per l'efficienza nella giustizia (Cepej) oltre a fornire la triste classifica degli ordinamenti più tartassati (si vedano le prime posizioni nella tabella in basso)ha "censito"i criteri seguiti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per dare un parametro,se non puntuale e categorico quanto meno orientativo, per stabilire quando un processo è troppo lungo. E dunque quando chi lo subisce o chi ne è parte acquisisce il diritto a vedersi riconosciuto l'indennizzo regolato dalle singole leggi nazionali.
Il risultato del monitoraggio mostra quanto distante sia l'Italia dal metro internazionale e quanto perigliosa sia la strada da percorrere per colmare il gap. Ad esempio, su una causa civile prioritaria, che ad esempio coinvolge minori o è in materia di lavoro, la parola "fine"deve essere scritta entro due anni dall'instaurazione.
Gaetano Nicastro, che il 26 gennaio ha inaugurato l'anno giudiziario in Cassazione, ha ricordato che mediamente una causa di lavoro giace 731 giorni in primo grado e 740 in secondo grado. Due turni di giudizio che, da soli, doppiano il termine massimo complessivo contemplato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.