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Soluzione graduale l'unica alternativa

di Giuliano Cazzola

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15 giugno 2007


Basterebbe un pizzico di buon senso per porre termine alla "guerra dello scalone". Quella delle pensioni è una delle sfide in cui il sistema-Italia si è impegnato di più,come ha cer-tificato, da ultima,l'Ocse, la quale ha altresì riconosciuto che proprio l'intervento sull'età pensionabile, introdotto dalla legge Maroni, contribuisce ad accorciare quella fase di transizione troppo lunga e generalmente considerata il punto critico delle riforme degli anni 90, per quanto riguarda non solo la precaria sostenibilità del sistema, ma anche e soprattutto la mancanza d'equità nel rapporto tra le generazioni. Il Governo è incalzato dall'ala sinistra della maggioranza,la quale — come sta scritto nel Programma —pretende di «eliminare l'inaccettabile gradino e la riduzione del numero delle finestre che innalzano bruscamente e in modo del tutto iniquo l'età pensionabile». Ciò non significa, necessariamente, che si debba tornare al regime previgente, rinunciando persino a indicare — come prevedeva il Dpef — delle misure compensative di carattere finanziario.
L'adozione di percorsi meno "bruschi" e "iniqui" non sembrerebbe, dunque, preclusa. Certo, un orientamento rivolto a "spalmare" l'innalzamento da 57 a 60 anni, destinato a consumarsi nell'alba di capodanno del 2008, porrebbe non pochi problemi ai conti pubblici (si vedano i grafici, riferiti al solo regime generale dell'Inps).Ma il Governo potrebbe spiegare, in sede europea, che l'obiettivo di elevare l'età minima di pensionamento a 62 anni per i dipendenti e a 63 per i lavoratori autonomi sarebbe ugualmente salvaguardato, anche se a raggiungerlo occorresse un tempo più lungo. Sarebbe inaccettabile, invece, un ripristino dello status quo, come se la soglia dei 57 anni fosse l'ultimo Muro di Berlino da difendere ad oltranza, anche quando mancano argomenti plausibili per farlo. Ma poi, quante sarebbero, alla fine, le vittime dell'"iniquo scalone"? A giudicare dal polverone che il problema solleva, verrebbe dato di pensare a milioni di lavoratori condannati dal capriccio del calendario ad un ulteriore periodo di lavori forzati.
I dati dell'Inps dimostrano, invece, che si tratta di una minoranza di lavoratori, importante ma esigua. Sono 129.500 le persone che nel corso del 2008 risulterebbero bloccati dall'innalzamento del requisito minimo di età; di questi 43mila sono lavoratori autonomi, le cui sorti non angustiano certamente l'alleanza tra il Prc e i sindacati (visto che non ci sono neppure lamentele da parte delle loro associazioni di categoria).
Naturalmente ai casi Inps andrebbero aggiunti, nel numero di qualche migliaia, i dipendenti pubblici,la cui condizione di lavoro — si ammetterà —renderebbe comunque meno oneroso il sacrificio di qualche anno di lavoro in più.Poter limitare,attraverso il requisito anagrafico, il numero dei (relativamente pochi) pensionati di anzianità renderebbe invece un grande servizio al sistema pensionistico e consentirebbe risparmi altrimenti irrealizzabili.
Di recente, i partecipanti alla "caccia al tesoretto"si sono accorti che — grazie alla stangata contributiva disposta dalla Finanziaria 2007 — il bilancio Inps andrà in attivo, nel 2007, per oltre 3 miliardi di euro ed hanno salutato questo evento come una "licenza di spendere". Il fatto è che alla Ue e agli osservatori internazionali non interessano saldi di bilancio determinati,tra l'altro,da massicci trasferimenti a carico della fiscalità generale. Loro,giustamente, tengono conto del diagramma della spesa pensionistica.

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