Il Dpef approvato ieri dal Governo contiene alcuni aspetti positivi, da tradurre però poi in misure effettive, e un elemento certo di criticità. Gli aspetti da apprezzare sono l'aver contenuto a 2,5 miliardi l'ammontare dell'extragettito da destinare a interventi di redistribuzione, ma anche per rendere più flessibile l'impiego del lavoro con gli straordinari e l'ammodernamento degli ammortizzatori sociali.
Di questo risultato bisogna dar merito al ministro dell'Economia Tommaso PadoaSchioppa che ha usato una pazienza gentile e una cocciuta determinazione nel non cedere alle pressioni interne ed esterne al Governo. L'elemento critico è nell'obiettivo del deficit pubblico che il Governo ha innalzato dal 2,3% indicato a marzo (2,8% nel Programma di stabilità di dicembre) al 2,5 per cento per il 2007 e dal 2% al 2,2% per il 2008.
Basta un momento di riflessione per capire che ciò è di straordinaria illogicità. Il Governo ci dice: siccome le entrate fiscali sono aumentate, in modo inatteso e in parte inspiegato, non solo non le risparmiamo ma spendiamo ancora di più di quanto le tasse stiano crescendo, tanto che il disavanzo sale. Questo è un esempio da libro di testo di politica fiscale prociclica: quando le "cose vanno bene", e quindi le entrate aumentano, le si sperperano aumentando le spese, così che quando le cose andranno male, cioè le entrate fiscali scenderanno, per una recessione ad esempio, saremo con l'acqua (fiscale) alla gola. I deficit già alti aumenteranno e il debito ricomincerà a crescere e l'unico modo per farvi fronte sarà un'altra "fase uno" di aumenti di imposte, particolarmente dannose in un momento di difficoltà dell'economia. Politiche fiscali di questo tipo, miopi e procicliche (ovvero spendere di più non appena gli introiti salgono) hanno caratterizzato molti Paesi latino- americani, con i risultati che tutti conosciamo.
Parliamoci chiaro: un deficit al 2,5% o al 2,1%, dove sarebbe andato spontaneamente migliorando il risultato rispetto all'obiettivo, per il 2007 non fa una gran differenza in sé e per sé, per un Paese a basso debito. Ma per un Paese a debito alto come l'Italia e con un sistema pensionistico che non riesce a star dietro all'invecchiamento della popolazione, ogni anno perso rischia di aumentare i costi del risanamento in futuro. PadoaSchioppa userà la sua reputazione a Bruxelles e probabilmente riuscirà a far accettare un deficit maggiore ai prtner e alla Commissione europei. Ma oltre ai numeri stessi c'è anche un segnale negativo dato al Paese, ovvero che il Governo non è in grado di fermare la spesa pubblica. D'altronde lo si e visto con gli aumenti recentemente concessi ai dipendenti pubblici, compresi i fannulloni resi famosi (si fa per dire) da Pietro Ichino. Purtroppo neppure il Governo precedente fu in grado di fermarla ma due errori non si compensano, si sommano!
Più in generale l'Italia avrebbe bisogno di tre cose. Una riforma della legge elettorale che rendesse partiti piccoli e corporativi meno cruciali per la sopravvivenza di un governo. Un assestamento delle forze politiche in campo per cui i veri liberisti e riformisti che oggi sono divisi nelle due coalizioni in qualche modo si riuniscano sotto un solo tetto. Un leader capace di dire "no" parlando con chiarezza all'opinione pubblica e affrontando se necessario qualche sciopero: se non una Margaret Thatcher almeno un Nicolas Sarkozy o un Tony Blair.
Romano Prodi non pare avere la stoffa necessaria per essere quel leader e sembra lasciare la battaglia nelle mani del ministro PadoaSchioppa.
Naturalmente sappiamo bene che il Dpef è solo un documento pieno di buone intenzioni. Bisognerà verificare se la linea dell'attento delle risorse sarà mantenuta. A cominciare dalla trattativa sulle pensioni e dalla prossima Finanziaria.