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Studi di settore, una via obbligata

di Innocenzo Cipolletta

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26 giugno 2007


Il Dpef è sempre stato luogo di lotta alle intenzioni, posto che esso illustra la strategia che il Governo vorrebbe seguire per la scrittura della legge Finanziaria, ma non contiene norme o vincoli ineludibili, come abbiamo visto negli anni passati. Anche questa volta esso rischia di uscire un po' ammaccato dalla contesa politica, visto che si rinuncia a obiettivi più ambiziosi nella riduzione del disavanzo pubblico, atteso crescere, seppure leggermente, nel 2007 rispetto alle previsioni precedenti. Tuttavia, i giochi sono ancora da fare e, complici alcune scadenze, esso conterrà qualche elemento di certezza in più, posto che sono in stato avanzato le trattative per la riforma delle pensioni e per quella fiscale.
Sabato 23 giugno in un editoriale su questo giornale, Guido Tabellini ha esortato il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, a non cedere alle pressioni di sindacati e sinistra che chiedono l'abolizione dello "scalone" e che si sottraggono a un aggiornamento necessario dei coefficienti per la determinazione delle pensioni calcolate con il metodo contributivo. L'appello a superare miopie e iniquità è da condividere: il ministro si presenti alla trattativa con una calcolatrice, perché è stata proprio l'assenza di una visione di compatibilità economiche che ci ha portato ad avere un debito pubblico gigantesco e a rinviare continuamente le soluzioni, come ha fatto il precedente Governo che non ha modificato i coefficienti, come avrebbe dovuto per legge nel 2005, e non ha attuato immediatamente e gradualmente l'innalzamento obbligatorio dell'età di pensione, rinviandolo al 2008 e creando lo scalone, spostando così in avanti nel tempo la soluzione dei problemi, magari trasferendo a un altro Governo quello che non aveva saputo fare lui stesso.
Ma una bella calcolatrice sarà necessaria anche e soprattutto per affrontare la discussione in corso sugli studi di settore, utili per gli accertamenti dei redditi dei lavoratori autonomi. Anche in questo caso siamo di fronte a miopia e iniquità da parte di quanti —associazioni, sindacati, partiti politici, fomentatori di piazze e improvvisati capipopolo — si ostinano a denunciare a parole l'evasione fiscale, salvo poi mettere in atto comportamenti che favoriscono chi evade a danno di chi paga le tasse (e sono la maggioranza degli italiani, compresi i lavoratori autonomi).
Se è incomprensibile che un Paese che invecchia non voglia modificare il suo regime pensionistico e rischi di dare pensioni di miseria alle persone che raggiungeranno età avanzate, è altrettanto inconcepibile ribellarsi all'adeguamento degli studi di settore che ogni anno devono essere adattati per renderli coerenti con l'evoluzione dell'economia e con i comportamenti dei contribuenti. Così è in molti Paesi: gli studi di settore identificano il reddito presumibile per categorie di contribuenti sulla base delle informazioni statistiche esistenti, in modo da circoscrivere l'area dell'accertamento a quelle dichiarazioni che appaiono chiaramente distanti dai parametri scelti. Non si tratta affatto di un'imposizione d'ufficio di carattere catastale: chi ha avuto redditi inferiori a quelli presumibili, non dovrà dichiarare di più ma sarà sottoposto a un accertamento che verificherà l'esattezza della sua dichiarazione. Certo, non è piacevole subire un accertamento, ma in tutti i Paesi del mondo si fanno accertamenti sulle dichiarazioni di reddito e, se la dichiarazione è corretta, non c'è nulla da pagare in più.
Se una critica può essere portata a questo strumento è che esso agevola quanti guadagnano molto più di quanto implicito nei parametri indicati (e sono molti), perché riduce per essi il rischio dell'accertamento e dà lorola possibilità — che si spera non venga utilizzata — di dichiarare meno di quanto effettivamente hanno guadagnato.
Cosa avviene se l'amministrazione fiscale dovesse mettere parametri di reddito troppo elevati, così come lamentano molti degli oppositori che scendono nelle piazze? In questo caso il numero di quanti dichiarano redditi inferiori a quelli degli studi di settore sarebbe molto elevato e l'amministrazione non sarebbe in grado di effettuare tutti gli accertamenti previsti, così come era prima dell'introduzione degli studi di settore. In altre parole, in questo caso si rischia solo un ulteriore incremento dell'evasione fiscale,non certo una vessazione dei contribuenti.
L'opposizione cieca alle modifiche degli studi di settore rischia di rivelare solo una reale propensione all'evasione fiscale. Se si vogliono parametri molto bassi per gli studi di settore, allora si finisce per agevolare i soliti furbi che dichiarano un reddito di poco superiore a quello presunto,evitando così l'accertamento ed evadendo parte non trascurabile del proprio onere fiscale.
Gli opposti estremismi dei sindacati e degli autonomi hanno contribuito non poco al debito pubblico italiano e i partiti che scrivono lettere o fomentano rivolte qualunquiste a favore degli evasori fiscali, per cavalcare il dubbio consenso di una categoria, finiscono veramente per tagliare il ramo dell'albero su cui sono (e purtroppo siamo) seduti.

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