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«Basta promesse, servono segnali forti»

di Lionello Mancini

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14 agosto 2007

«Capisco benissimo l'amarezza del vostro lettore. E da ciò che sento girando l'Italia, sono in tanti a chiedersi che senso abbia continuare a pagare fino all'ultimo euro di tasse per avere in cambio servizi inefficienti o peggio da uno Stato che non funziona. Sì, le perplessità del professionista che vi ha scritto sono le stesse di tanti cittadini perbene». Così Gherardo Colombo, 61 anni, magistrato per 30 anni, protagonista nel pool «Mani pulite» e oggi "gran seminatore" di senso civico tra i giovani che incontra nei teatri, nelle scuole, negli oratori e nelle biblioteche del Paese. Le sue conferenze sulla legalità, a ritmo più o meno quotidiano, sono già fissate fino a fine 2008. «È condivisibile – continua – anche la risposta di Tommaso Padoa-Schioppa: attenzione al rischio dell'antipolitica.Ma se, come scrive il mini-stro, la politica è stata spesso e utilmente diversi passi avanti alla società, questo non mi pare uno di quei momenti. Al contrario, i cittadini chiedono efficienza e responsabilità a un corpo politico che non sembra ancora in grado di rispondere».
Che cosa condivide e cosa non la convince, nella lettera del professionista?
Mi pare vadano tenuti distinti due aspetti che il vostro lettore incrocia: il dovere delle tasse e quanto si riceve in cambio. Il primoè un imperativo giuridico che deve restare indiscusso, perché il cittadino che non paga le imposte dovrebbe chiamarsi fuori dalla società, non godere più della sanità, della scuola e di tutti quei servizi che lo Stato può erogare solo perché una parte di cittadini paga rigorosamente il dovuto.
Resta che i servizi resi sono molte volte di qualità pessima, quando ci sono.
Il problema è serio, e non solo sotto il profilo del rapporto pubblico-privato, poiché oggi il confine tra pubblico e privato è spesso impalpabile. La possibilità di viaggiare, per esempio, è garantita dallo Stato, ma le autostrade sono affidate ai privati. Non mi pare che il vostro lettore ce l'abbia con il concetto di "pubblico", quanto con il modo in cui gli amministratori, i politici gestiscono la cosa pubblica. Ma non è solo questo. Parte dell'inefficienza cronica tipica dell'Amministrazione è connessa ai cosiddetti "costi della politica", ovvero ai costi dei privilegi, delle funzioni inutili, dei livelli istituzionali moltiplicati solo per creare poltrone da spartire.E questi "costi"si sommano all'inefficienza, ingigantendone effetti e percezione da parte della società. In linea di principio sono d'accordo con PadoaSchioppa: gli amministratori sono scelti dai cittadini col voto. Ma in pratica, specie dopo la recente riforma elettorale, è vero che gli eletti li scelgono i partiti, più che i cittadini. E anche questo pesa.
Insomma, per la Politica problemi gravi di sostanza e di immagine.
La Politica è insostituibile, essenziale, così come servono le persone che si prestano a rappresentare la società. Ma oggi è diventato altrettanto importante l'utilizzo che si fa del prelievo fiscale. Ormai è un punto cruciale agli occhi dei cittadini, così come il fatto che i gestori di Stato molto spesso non abbiano responsabilità definite. Che, cioè, nel pubblico non esista il "chi sbaglia paga" come nella nostra vita quotidiana; e così i manager di Stato si vedono corrispondere gli emolumenti fissati, qualunque sial'esito del loro operato. Ma ciò viene percepito come intollerabile: che un'azienda pubblica sia inefficiente, sprechi o vada a rotoli, chi l'ha gestita intasca milioni di euro. So bene che lo prevede la legge, ma allora forse va cambiata la legge.
Che cosa direbbe al nostro lettore, se intervenisse a una delle sue conferenze sulla legalità?
Intanto di continuare per la sua strada virtuosa, anche per rispetto verso quei milioni di persone che, da lavoratori dipendenti, non possono evadere né eludere il Fisco e dunque pagano tutto e sempre. Aggiungerei che il tema sollevato è lo stesso per cui ho lasciato la magistratura: finché chi ha responsabilità politiche non capisce i cittadini e non rinnova il modo di agire,l'unica strada è quella di rafforzare il rapporto tra i cittadini e le regole. È un processo lento, che richiederà forse un paio di generazioni ma che, ricordiamolo, non esclude le responsabilità di chi ci governa: sono percorsi intimamente connessi, uno senza l'altro ha poco senso. Ma bisogna pur che da qualche parte si inizi.
E quel riferimento della lettera alla giustizia impazzita? Un mondo che lei conosce bene...
Lo so, la giustizia funziona male e capisco che un cittadino possa soggettivamente sentirsi dalla parte della ragione per poi vedersi dar torto in Tribunale. Tra i motivi di questo grave fenomeno c'è anche l'eccesso diregole, un reticolo di enorme complessità che finisce per negare la certezza del diritto. Un malfunzionamento che mina sempre più il rapporto Stato-cittadino.
La risposta del ministro dell'Economia dimostra che uno sforzo di riavvicinamento tra Politica e Società è in atto.
Non ne dubito. Ma vorrei osservare, sempre a partire da quanto colgo girando l'Italia, che le risposte della Politica alle critiche non sono ancora in linea con le aspettative della Società civile. Lo ribadisco, questo non mi pare un periodo in cui la Politica opera come dovrebbe. Lo dimostra anche lo straordinario successo di un libro come
La casta. Servirebbero risposte più puntuali, e servirebbero comportamenti nuovi e verificabili più che dichiarazioni di principio o enunciazioni di buona volontà. Le risposte attese sono quelle della riduzione dei costi della politica, attraverso tagli e non solo promesse di tagli. Aggiungo: servirebbe un progetto comune, condiviso a destra e a sinistra, valido per qualunque maggioranza e per qualunque opposizione. Segnali forti, precisi: non è più tempo di timidezze, proprio per scongiurare il rischio di prevalenza dell'antipolitica.
Qualche esempio di «segnali forti»?
Non spetta a me elencare i rimedi. Ma penso,ad esempio,all'abolizione di certi enti o di certi livelli di cui si è dotata la Politica; allo sfoltimento degli eccessi di istituzioni che, sovrapponendosi, fanno fatica a dividersi le competenze. In tanti pensano che si potrebbe fare a meno delle Province, ad esempio, o che andrebbe ridotto il numero di parlamentari, consiglieri regionali o comunali. E anche che andrebbe finalmente introdotto il " chi sbaglia paga". Servono segnali per ridare fiducia a cittadini come il lettore che vi ha scritto, mosse adeguate ad allineare le spese per le istituzioni ai livelli che risultano sufficienti in altri Paesi i quali, pure, funzionano egregiamente.

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