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La lettera del professionista deluso: «Pago 900mila euro di Irpef, ma so che saranno buttati»

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8 agosto 2007

Caro direttore, mi accingo in settimana a pagare oltre 900mila (sì, novecentomila) euro di Irpef e mi scusi se tengo, per ragioni evidenti, celato il mio nome ai suoi lettori. Sono, nonostante il mio alto reddito, un piccolo professionista di provincia, innamorato del suo lavoro, e che è stato sempre oltremodo fedele al dovere fiscale.

Non mi è mai pesato pagare le tasse; anzi, visto che i professionisti "vanno per cassa", mi sono sempre detto: «Se li pago, vuol dire che li ho riscossi»; inoltre, mi sono sempre auto-convinto del fatto che la mia annuale dichiarazione dei redditi rappresentasse una specie di "diploma" di aver avuto un bel successo professionale nel periodo d'imposta precedente.

Questo reddito lo ottengo lavorando in effetti moltissimo: mi sveglio alle 4,45 ogni mattina, lavoro ininterrottamente fino a notte, non mi concedo mai vacanze né weekend, vedo i miei famigliari raramente. Ho una moglie santa, che per fortuna ha capito quanto il lavoro sia parte di me; ho due figlie splendide, di cui faccio fatica a incrociare lo sguardo perché sono convinto di sottrarre loro una ricchezza inestimabile, che è il tempo che invece dovrei dedicare loro. Spero almeno di insegnare loro che con l'impegno, anche se non siamo in America, si ottengono risultati.

Non lavoro per i soldi: a parte che non saprei come "godermeli", ho fatto un impegno con me stesso di avere uno stile di vita morigerato (e a imporlo alla mia famiglia) perché vengo da una famiglia piccolo borghesee intendo perpetuare i valori di queste origini. I soldi sono solo una conseguenza, non sono l'obiettivo o il presupposto. Potrei lavorare di meno, dirà Lei. Certo, ma io appartengo a una categoria di persone che nel lavoro trovano una grande "realizzazione". In più, io ho scelto di fare il professionista con l'idea di dare il servizio intellettuale più eccellente possibile a chi me l'avesse chiesto: quindi mi impegno al massimo e cerco di trattare con la stessa attenzione sia le pratiche piccolissime che quelle ingenti. Non mi riesco a rifiutare a nessuno, faccio il possibile per accontentare tutti; insomma, anche se non mi sono mai drogato nemmeno con uno spinello, capisco benissimo cos'è la dipendenza e come sia difficilissimo uscirne. Vede? È agosto inoltrato, e io sono qui a lavorare!

Che c'entra tutto ciò, dirà Lei?
C'entra che mi sono stancato. Vedo in ogni momento della mia giornata quintalate di denaro nero; vedo le porcherie di chi specula illecitamente nel mercato finanziario; vedo gli uffici pubblici che non funzionano; vedo gravissimi sperperi di denaro pubblico; vedo la scuola che non insegna; vedo i ragazzi che si laureano e scrivono la tesi senza sapere l'italiano (altro che insegnarlo agli extracomunitari...); vedo i politici di un livello umano e professionale sotto qualsiasi soglia minima; vedo sporcizia in ogni angolo; faccio code insopportabili; subisco liste d'attesa da terzo mondo; vedo fannulloni che ingrassano e sprechi dappertutto. Vedo patrimoni pubblici in stato decrepito che, un solo minuto dopo esser stati "privatizzati", hanno sperticati aumenti di valore. Vedo treni indecenti, per pulizia e ritardi e autostrade inservibili a causa di montagne di traffico.

Vedo inciviltà a ogni passo che muovo.
Vedo i Tribunali che non funzionano: c'è da tremare a entrare in un Tribunale avendo ragione, perché vi sono fondate probabilità di uscirne avendo torto; e così c'è l'incentivo a impostare la propria vita beffando gli altri, perché è molto probabile che ti giudichino non colpevole. Quando uno Stato non assicura giustizia, credo che sia uno Stato con la canna del gas in bocca. Discorsi populisti e superficiali, detti e stradetti, dirà Lei. Senz'altro. Ma resta il fatto che mi sono stancato. Vorrei poter trovare nuovi stimoli dedicando il mio versamento alla costruzione di un'opera pubblica specifica (per poter dire«l'ho finanziata io», almeno così i miei soldi servirebbero a qualcosa) invece di farlo finire nel calderone della finanza pubblica: non sono per nulla orgoglioso di formare un "tesoretto" a mio nome. Vorrei poter dire, quando entro in un ufficio pubblico: «Io vi pago, vorrei avere un servizio almeno decente ». Ma da solo mi rendo conto che sono discorsi da matti.

Resto quindi stanco e senza soluzioni.
Mi pesa francamente troppo l'aver lavorato come una bestia per versare 1 miliardo e 800 milioni di vecchie lire a un socio occulto (lo Stato) che non solo non mi aiuta, ma mi ostacola (dimenticavo: aggiungiamo anche 250mila euro di versamenti previdenziali, quisquilie!). E allora? Allora continuerò a lavorare (e a incassare), ma sento forte lo stimolo a smettere di pagare: a tenere i soldi da parte, senza rubarli, ma nascondendoli (non è difficile, lo fanno tutti); e a versarli, se già non li avrò dati in beneficenza, quando la classe politica se lo meriterà di nuovo (e, beninteso, non è quella che oggi è all'opposizione).Ma temo che forse, sempre che credano negli stessi miei principi, li verseranno i miei eredi. (Lettera firmata)

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