Il mobbing non è reato perchè non rientra nei casi penalmente perseguibili dal codice penale ma è solo un illecito civile per il quale si può chiedere il risarcimento del danno. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione chiamata a giudicare una sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal Gup di Santa Maria Capua Vetere in una causa intentata da un'insegnante di sostegno nei confronti del proprio preside d'istituto.
«La condotta di mobbing - secondo i giudici della V sezione penale (sentenza n. 33624) - suppone non tanto un singolo atto lesivo ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell'esprimere l'ostilità nel soggetto attivo verso la vittima sia nell'efficace capacità di mortificare e di isolare il dipendente nell'ambiente di
lavoro». Affinchè questa condotta abbia effetti penali e quindi non porti solo ad una causa civile, la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il mobbing - dice la Suprema Corte - è quella descritta dall'articolo 572 del codice penale «maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione» che devono compiersi in modo continuativo. Nel caso specifico, inoltre, il pm non aveva contestato azioni reiterate e continuative ma solo casi di diffamazione,
ingiuria e una pluralità di gesti ostili non specificati; azioni prive in sè, secondo la Corte, di potenzialità direttamente lesive dell'integrità della vittima o di riscontri obiettivamente dimostrabili. Gli ermellini hanno ritenuto pertanto logiche e coerenti le disposizioni del giudice di Santa Maria Capua Vetere.