ILSOLE24ORE.COM > Notizie Norme e Tributi ARCHIVIO

Tasse e senso civico / La parola ai lettori

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
17 agosto 2007


Tariffe basse: lo Stato vuole di più
Leggendo la lettera del «professionista deluso» mi sono identificato quasi del tutto. Io però da anni, pensando che le tasse pagate sono buttate, ho cercato un'alternativa per ridistribuire il mio redditi sui miei clienti. Come? Applicando tariffe eque, spesso al di sotto dei minimi. E, in oltre 30 anni di esercizio della professione, nessun cliente ha pagato un qualsiasi importo non accompagnato da una regolare fattura. Mi sento a posto, anche se mi rendo conto di essermi arrogato il diritto di ridistribuire il mio reddito a modo mio.Ieri però mio figlio mi ha raccontato che, a causa delle nostre tariffe morigerate, non siamo più congrui, non siamo più coerentie da quest'anno non siamopiù nemmeno normali.E quindi occorre integrare, cioè pagare più tasse, che nel nostro caso vuol dire pagare tasse su un reddito inesistente; non solo, ma mi ha pure spiegato che non possiamo più dedurre le spese pagate per le due auto che usiamo per lavoro.Il risultato? Per 1.000 di reddito, paghiamo le tasse su 2.800: le imposte versate superano l'importo lordo degli emolumenti percepiti. Aumenteremo le tariffe, i nostri clienti pagheranno di più e, avendo maggiori costi, pagheranno minori tasse che pareggeranno le nostre maggiori tasse: nulla cambierà.
E-mail firmata

Ma i dipendenti pagano ogni mese
Vorrei partecipare al dibattito ricordando che i dipendenti, sia pubblici sia privati, pagano le tasse ogni mese e non una volta l'anno. Sbaglia chi dice che non paga le tasse perché non ha servizi in cambio: i servizi non ci sono non solo a causa degli sprechi ma anche perché non si pagano le tasse. In Italia è necessario cambiare mentalità: in America anche Al Capone è finito in carcere per non aver pagato le tasse. E-mail firmata

I politici diano il buon esempio
Ho letto con interesse sia la lettera del «professionista deluso» sia la replica del ministro Padoa-Schioppa e penso che entrambi affermino delle verità. Al dipinto disilluso della nostra società del professionista fa seguito una lucida spiegazione del ministro sulla possibile causa del malfunzionamento della politica. La politica sarebbe espressione della nostra società: se la politica non "funziona" è perché non "funziona" la società. È evidente che quei cittadini (nel settore privato e in quello pubblico) che continuano, nonostante tutto, a fare il loro dovere sono troppo pochi e non riescono, da soli, a far "funzionare" la società. Allora, è importante che questo numero di cittadini cresca: cosa c'è di meglio, più di tante leggi e decreti, del buon esempio?
Ecco cosa si chiede alla politica o, meglio, ai politici: date il buon esempio.
Elvio Meinero

Troppi motivi per l'antipolitica
Nella replica al «professionista deluso», il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, giustamente esorta a non cedere alla tentazione dell'antipolitica, ma la sua diagnosi resta purtroppo lontana dalla realtà.
Realtà che giorno dopo giorno, per il semplice contribuente (libero professionista, dirigente, impiegato, operaio) diventa sempre più complicata da un forte e opprimente senso d'impotenza contro ingiustizie e sperperi di denaro pubblico, malamente amministrato e inequamente distribuito. Il che rende sempre maggiore il distacco tra il dorato e protetto mondo politico, dove sembra annidarsi il culto dei molti diritti e dei pochi doveri, e la comune società.
È proprio così che nasce, come naturale strumento di difesa, il sentimento definito «disperazione dell'antipolitica» dal ministro.
e-mail firmata

La lotta all'evasione non piace agli italiani
Il Governo Prodi sta facendo uno sforzo enorme per combattere l'evasione fiscale: piaga di uno stato moderno che produce ingiustizie enormi a danno di chi le tasse le paga. Ma gli italiani, secondo i sondaggi, sono scontenti della politica del Governo sull'evasione fiscale.
Fabiano Contraffatto-San Donato Milanese

Il compito degli educatori
Va dato merito al Sole-24 Ore per aver fornito, con la lettera del «professionista deluso», l'occasione di sollevare un dibattito fondamentale. Mi è parsa opportuna la precisazione del ministro dell'Economia, che ha ricordato come il bene e il male della nostra società non possano essere associati il primo al «privato» e il secondo al «pubblico»; ma più ancora ritengo meritevole di attenzione l'intervento dell'onorevole Vegas, che ha ricordato come all'origine di tutto c'è una profonda crisi di valori.

Seguendo questo richiamo mi chiedo se non debba essere una precisa responsabilità di noi docenti quella di cercare di rimediare a questo stato di cose. La scuola e l'università sono i primi ambienti in cui i giovani apprendono il significato della convivenza sociale ed è qui che si prepara il futuro cittadino. Purtroppo da tempo la scuola e l'università hanno perso (o gli è stata tolta) l'autorevolezza per poter svolgere questo ruolo formativo con la necessaria credibilità. Credo sia di fondamentale importanza far capire ai ragazzi che è necessario osservare le regole (che però devono essere loro spiegate) non per compiacere il professore, ma per rispetto verso gli altri. Per questo, va disprezzato chi assume un comportamento asociale tentando di aggirarle con furbizia.

Mi piacerebbe che i miei colleghi che credono in questi principi (e sono convinto che sono ancora molti) non si lasciassero demoralizzare dalle campagne denigratorie che mettono in evidenza solo i difetti della scuola e dell'università (il buono non fa notizia) ma recuperassero orgoglio e consapevolezza dell'importanza del loro ruolo (che è molto più importante dei contenuti del loro insegnamento): magari, in futuro, anche il professionista deluso potrà compiacersi del suo eroico comportamento.
Luciano Munari

Le delusioni e i rimborsi mancati
Sono anch'io un libero professionista deluso. Ho un'attività da più di 30 anni e non sono un evasore, sia per mie convinzioni morali, saldamente trasmesse dall'educazione avuta, sia (per chi ne dubita) perché l'attività che svolgo è rivolta a una clientela costituita essenzialmente da ditte. La mia delusione è alimentata anche dal fatto che, avendo versato acconti di tassazione più alti del dovuto, ho chiesto il relativo rimborso nella mia denuncia Irpef del 1990 (redditi del 1989): a oggi lo Stato, pur assicurando che la mia denuncia Irpef è corretta, non è stato in grado di restituirmi la somma cui ho diritto (circa 8 milioni di lire dell'epoca). Pare che finora abbia onorato i debiti di tale natura non superiori a 5 milioni di lire. So bene che questa somma può far sorridere; ma questo ritardo, unito ad altre situazioni ingiuste che, mio malgrado, ho dovuto registrare nella professione, e unito alla condivisione di tutte le ragioni esposte dal maxi-contribuente, ha fatto sì che lo Stato sia ormai per me non più credibile.
Anch'io ho scientemente ceduto «all'antipolitica» e negli ultimi anni mi sono rifiutato di andare a votare.
E-mail firmata -Torino

Una crisi di valori pubblica e privata
Ho letto la lettera del professionista deluso che paga 900mila euro di Irpef e la risposta del ministro. La mia vuole essere una riflessione su entrambe. Ho 56 anni e sono una libera professionista. Nel 1989 sono uscita dalla pubblica amministrazione beneficiando di un'ingiustissima baby pensione. Ma avevo la nausea del «pubblico». Ho iniziato subito la libera professione e lavorando duramente, ma con passione, impegno e serietà, sono riuscita a guadagnare la fiducia di un buon numero di clienti. Come il professionista della lettera ho sempre pagato le tasse fino all'ultimo euro. Ma voglio essere sincera: negli ultimi anni, se avessi potuto, qualcosa avrei evaso. Perché il livello attuale è insostenibile. La mia professione, tuttavia, non mi consente comportamenti scorretti.

Ho continuato a pensare in tutti questi anni che tutto ciò che è pubblico non funziona, che i dipendenti pubblici in genere non hanno voglia di lavorare perché demotivati (non solo dallo stipendio basso), che il privato con molte meno risorse riuscirebbe a funzionare meglio. E che i soldi delle mie tasse, sì, erano sprecati. Questo fino ad alcuni anni fa. Ora invece noto che il privato si va pian piano adeguando al pubblico: mi sembra che stiamo diventando un mondo di fannulloni. Non solo in Italia. Ho corrispondenti in circa 100 Paesi e ho notato il progressivo venir meno del loro scrupolo e della loro dedizione.

In studio abbiamo calcolato che il 20% circa del nostro tempo (un'approssimazione sicuramente per difetto) viene speso a rilevare e correggere errori degli altri (tutti privati, in tutte le parti del mondo). Non solo. Io, se nel mio lavoro sbaglio, pago in prima persona, prima di tutto con le scuse e, se queste non bastano, con il portafoglio. Ma troppi invece glissano.

Scopro che queste impressioni sono comuni a molti, anche in altri settori. La gente non ha più voglia di lavorare? È anche questa una forma di «antipolitica»? Il voler quasi uniformarsi al comportamento dei politici che (in ogni Paese, non solo in Italia) troppo spesso non adempiono ai loro compiti? E i media? Tutto questo enfatizzare la vacanza e per contro lagnarsi del dover lavorare sono solo battute oppure un sentimento diffuso?

Io credo che in qualche modo dobbiamo tutti riscoprire il «piacere» del sacrificio, inteso come passione per la famiglia, lo studio, il lavoro, l'impegno sociale, la politica, il fare bene (perché anche di sacrificio si tratta, ma se vediamo un fine a tutto questo, se il sacrificio è motivato, la fatica è minore). Ma dobbiamo far capire alle nuove generazioni che «niente è gratis», che le scorciatoie non pagano, che solo attraverso l'impegno continuo si può andare avanti.
E-mail firmata

Ma le imposte caleranno
Come si fa ad avere fiducia nei politici che da sempre professano il «paghiamo tutti per pagare meno»? Di fronte all'avanzo nelle entrate (l'extragettito) c'è stata la corsa per assicurarsene una parte.
Il contribuente sa che più paga e più pagherà. Non esiste un punto di pareggio: nel sistema pubblico ci sono troppo assistenzialisno, troppi debiti e troppo garantismo.
Cesare Federici

Tanti sprechi, ma pagare le tasse è un dovere
Che fare? Mi associo alla prima parte della lettera del professionista, ma anche alla risposta del ministro. E avrei qualcosa da dire a entrambi.
Al professionista dico che non si può che essere d'accordo sugli aspetti negativi del pubblico che descrive. Su tutto a mio avviso ci sono i tempi lunghissimi della giustizia, che proprio perché tali si risolvono in una somma Ingiustizia; il costo della politica, insopportabile per il cittadino che paga le tasse. E forse anche per chi non le paga.
Ma «pubblici» sono anche gli ospedali che funzionano, dove funzionano, gli asili nido (a volte esempi da esportare), i bravi assistenti sociali e gli altri esempi citati dal ministro. Non pagare le tasse non significa solo venir meno al proprio dovere civico e alla sua rilevanza etica; significa anche godere di tutti i servizi che il pubblico eroga a "scrocco", per scendere nel linguaggio pratico e universale.

Il problema più italiano di tutti, quasi antropologico, è che di fronte al proprio dovere di contribuente si ha in mente invece lo Stato, quale figura astratta con cui in fondo abbiamo poco a che fare; come sforzarsi vanamente di «dare a Cesare quello che è di Cesare», senza notare quanto «pubblico» ci circonda e senza ricordare che Cesare è lì grazie al nostro consenso. Allora, evadere le tasse significa non pagare nulla o quasi per quanto lo Stato garantisce ogni giorno. Lo dimostrerebbero, oltre a qualche campionissimo dello sport, anche i vari professionisti, che in larga parte dichiarano tra i 10mila e i 20mila euro lordi l'anno. Personalmente, pago circa 80mila euro di Irpef l'anno.

Non ho motivo di vantarmi di genuina onestà perché sono un dirigente soggetto a ritenuta alla fonte. Dal mio angolo, sicuramente egoistico, mi chiedo se sia giusto pagare così tanto (senza tener conto che ho tre figli in una famiglia monoreddito) e se lo sia pagare il 43% su ogni euro in più guadagnato oltre la soglia di 70mila euro lordi l'anno. Mi chiedo anche come mai, appartenenendo in pieno a quel mitico 0,7% di contribuenti oltre i 100mila euro lordi, non posso permettermi una seconda casa o una piccolissima barca. E mi chiedo a chi appartengono quelle che affollano i nostri porti. Ma tutto questo non deve indurre a rinunciare a fare il proprio dovere.

Lo esige la coscienza che comunque da questo Stato riceviamo anche una moltitudine di servizi e la solidarietà verso chi sta peggio. Ma al ministro chiedo anche quanto tempo ancora dobbiamo aspettare per vedere una politica alta rispetto agli interessi di parte e ai residui ideologici; che sia allo stesso tempo pratica rispetto ai bisogni di giustizia, sicurezza, educazione, salute e quanto altro la società civile reclama.
Ezio Dosa

Mondo migliore senza fannulloni
Dopo alcuni anni in cui ho lavorato come insegnante in scuole superiori, da tempo sono anch'io un libero professionista ("libero", nel senso che sono libero di lavorare ben oltre le 40 ore settimanali di una mia impiegata: faccio il dottore commercialista) e mi ritrovo in molte delle riflessioni e delle amarezze così bene espresse nella lettera del maxicontribuente.
La mia esperienza (ho 58 anni) mi ha convinto che nel mondo del lavoro (sia pubblico che privato; e non solo nel mondo del lavoro) esistono tre categorie di persone:
a) una minoranza di persone che fa il proprio lavoro dando il massimo di se stessa;
b) una maggioranza di persone che fa il proprio lavoro in modo normale;
c) una minoranza di persone che lavora in modo trascurato, con scarso senso del dovere e senza provare nessun senso di colpa o di vergogna nei confronti dei colleghi che devono far fronte alle loro manchevolezze o dei clienti che vengono trattati senza il rispetto loro dovuto.

Non farei una distinzione tra privato (efficiente) e pubblico (inefficiente) perché ho visto tutte e tre le categorie di persone operare sia nel settore pubblico che in quello privato – e in questo concordo con le osservazioni del ministro Padoa-Schioppa. Pur non essendo superefficiente (la mattina mi alzo alle 7,30 e non intorno alle 5) ed economicamente fortunato (pago molte meno imposte di lui) come il maxicontribuente deluso, ritengo di far parte della categoria di persone a).

Ma ho imparato ad accettare il fatto che non siamo tutti uguali, che non tutti provano la stessa soddisfazione nell'ottenere un risultato «ottimo» nel lavoro (sottraendo tempo ed energie alla famiglia e al proprio tempo libero) e che la maggior parte delle persone preferisce limitarsi a un risultato «più che sufficiente» dedicando al lavoro non più del tempo che probabilmente merita. Resta il fatto che il mondo (almeno quello del lavoro) sarebbe certamente migliore (e meno frustrante) se si riuscissero ad allontanare le persone della categoria c).
Angelo Safina - Aosta

Il privato fallisce quando è «malato»
Sono un giovane lavoratore, laureato da pochi anni e occupato presso un'azienda. Scrivo per dare il mio appoggio al maxicontribuente deluso: condivido pienamente le sue idee. Ho letto anche la replica del ministro dell'Economia: ma le sue sono "non risposte". Padoa-Schioppa fa riferimento alla convinzione che il pubblico sia malato e il privato, al contrario, sano. Non penso sia così. Anche il privato è malato, ma è privato. Se il privato va male prima o poi muore. Nel pubblico, invece, questo non succede mai. Ho visto pochi giorni fa un documentario su Sandro Pertini, sull'Italia del dopoguerra, sulla rinascita. Ora capisco perché mio nonno rimpiangeva quei tempi e quelle persone.
E-mail firmata

Spese detraibili per far emergere il nero
Pagare le tasse è un dovere per ogni cittadino che intende partecipare attivamente alla vita sociale del proprio Paese. Anch'io, piccolo imprenditore, lavoro ormai da 25 anni per contribuire alla crescita e al valore della mia comunità.
Oggi però il tasso di incidenza fiscale sui miei ricavi – considerando Irpef, contributi previdenziali, Irap, eccetera – è arrivato al 65 per cento. E questo genera sfiducia, demotivazione e anche la tentazione di non essere più onesti. Né la politica degli studi di settore e dei redditometri, né quella dei condoni risolvono il problema. Secondo me, è necessario far emergere tutto il "nero" che esiste in Italia. Per combattere il sommerso, ogni cittadino deve avere la possibilità di detrarre dalla dichiarazione dei redditi tutte le spese sostenute.
Patrizio Cosimi

Il diritto dei cittadini a criticare la politica
La replica allo sfogo accorato del professionista anonimo che ha lanciato l'ennesimo appello contro la poca adeguatezza della spesa pubblica sostenuta col gettito dell'Erario mi è sembrata fiacca. Mi riferisco al puntuale, ma asettico, commento del ministro Padoa-Schioppa, il quale per dare brio alla propria risposta ha poi virato sulla falsa contrapposizione «pubblico/privato», dove a suo giudizio non può trovare spazio l'associazione del primo con il cattivo mentre al secondo spetterebbe a priori il ruolo di buono. Cosa, questa, ampiamente condivisibile. Per finire il ministro ha poi, a sua volta, lanciato un appello a non condannare la politica perché in Italia le aree di criticità sono numerose. A quelle citate dal ministro, aggiungo l'Università. E lo dico da docente universitario. E tuttavia, conclude il ministro, pur avendo ragione i cittadini a essere esigenti nei confronti della politica, il sentimento di insoddisfazione che essi provano specie quando vestono i panni del contribuente non deve sfociare nell'antipolitica.

E perché mai, mi chiedo io? Perché il cittadino non dovrebbe appellarsi al diritto di contestare la politica quando questa è incapace di produrre le soluzioni e i servizi che noi contribuenti paghiamo in anticipo con le tasse? Non si tratta di alto tradimento o attentato alla Costituzione, è un libero esercizio di critica svolto nel pieno diritto di componente della comunità su cui si regge il nostro Paese.
Una replica indiretta (ma efficace) al professionista anonimo è invece giunta da un'intervista, anche questa pubblicata sul Sole 24 Ore in edicola il 9 agosto, a un imprenditore calabrese, Francesco Mangione: le risorse pubbliche vengono spese male e per accedervi occorre superare ostacoli burocratici che scoraggiano gli investitori seri, ma non i predatori di risorse pubbliche. Invece di ridistribuire risorse pubbliche Mangione suggerisce l'applicazione di regimi fiscali differenziati in base al rischio. Una posizione che sento di sottoscrivere in toto. E che credo lasci soddisfatto, almeno parzialmente dato che non si tratta di un politico né di una risposta dovuta, anche il professionista anonimo.
Andrea Lanza - Milano

Bravo il professionista
Condivido ogni singola parola della lettera inviata dal «professionista deluso». È veramente faticoso pagare anche solo un centesimo di imposte sapendo che serve unicamente ad alimentare il peggio del peggio sotto ogni punto di vista. Sono sconsolato.
Giovanni Di Stefano

Abusi non solo nel pubblico
Il contribuente onesto, il professionista che versa 900mila euro di imposte all'anno ed è deluso dall'uso che ne viene fatto dallo Stato, può trovare a pagina 17 del Sole-24 Ore di ieri una conferma a quanto risponde lo stesso ministro dell'Economia: cioé che l'utilizzo inefficiente dei soldi pubblici non avviene solo da parte dello Stato. Tra il 1993 e il 2007 – riferisce Il Sole-24 Ore - sono avvenute truffe per oltre 2,4 miliardi su fondi messi a disposizione dallo Stato per lo sviluppo ad imprenditori italiani. Difficile decidere se sè un problema di "settore pubblico" o "settore privato".
Cesare Guerreri - Milano

Un esempio di moralità
Ci tengo a far sapere a quel «professionista deluso» (perché sa già che le sue tasse finiranno in fumo) che, nonostante i suoi tentennamenti, che il comportamento da lui tenuto finora ha dato, anche se inconsapevolmente o con non troppa pubblicità, una grande lezione di rettitudine e moralità.
E-mail firmata

L'evasione e gli alibi
Parlando di imposte e di delusioni, vorrei provaste a immaginare la vita che conduce un impiegato dello Stato, funzionario con stipendio di 1.500 euro mensili con moglie e due figli a carico. Un funzionario che, per non pagare cifre assurde per affitti in nero, riesce a comprare casa, con l'aiuto dei familiari e stipulando un mutuo a 30 anni che nell'arco di due anni è passato da 600 a 800 euro di rata mensile. E dovendo pagare le tasse ogni mese.
Vorrei non sentir più ripetere «non pago le tasse perché non ho i servizi»: i servizi non ci sono non soltanto per gli sperperi ma anche perché non si pagano le tasse.
E-mail firmata

Risposta non convincente
Ho letto con attenzione e partecipazione la lettera del contribuente deluso: l'ho trovata toccante, profondamente vera. Descrive in modo preciso le sensazioni, le emozioni e il disagio costante che prova chi lavora ogni giorno – e per questo è anche adeguatamente remunerato – e vede il proprio Paese regredire, incalzato da inefficienze crescenti in molti campi della gestione pubblica, sorpassato da nazioni un tempo molto distanti che hanno saputo fare scelte più coraggiose e lungimiranti.

Ho trovato invece debole la risposta del ministro Padoa-Schioppa. Quasi una difesa d'ufficio di chi per ruolo è chiamato a difendere una posizione (ancorché in cuor suo forse non la condivida). Mi pare che si sfiori appena il punto centrale della lettera del «contribuente deluso». Non credo che il punto sia la distinta percezione tra pubblico e privato («Ciò che dobbiamo sottoporre a vaglio critico è la convizione – scrive il ministro – che il "pubblico" sia, quasi per costituzione, malato e il "privato" sia, quasi per costituzione sano»). Ma nessuna persona di buon senso ritiene che nel pubblico si annidi la parte «malata» del Paese, con i fannulloni, gli incapaci e i poco meritevoli solo da una parte. Non è così: le capacità e la moralità dei nostri concittadini sono le stesse ovunque essi lavorino. Però il privato si è dato regole tali per cui gli inefficienti, i poco meritevoli, gli incapaci, i profittatori vengano allontanati, mentre al contrario chi opera bene venga premiato.

Nel mondo pubblico la situazione è opposta: non vi sono regole che facciano chiudere le amministrazioni inefficienti, i Comuni che per decenni non adottano piani regolatori, i tribunali che non emettono sentenze, gli impegati che non lavorano, gli ospedali che non curano i pazienti, le aziende pubbliche che perdono milioni di euro ecc.. Questo sistema di regole non c'è o, quando esiste, nessuno vigila sulla loro corretta applicazione. Quindi non è che il pubblico abbia un «tasso di malattia» superiore al privato: da una parte vi sono regole che fuzionano e attivano anticorpi contro la «malattia», dall'altra non ve ne sono. E questo stato di cose è dovuto, a mio avviso, all'insipienza di quei politici – di destra e di sinistra – che, eletti proprio per emanare le regole e vigilare sulla loro applicazione, si dedicano in realtà a tutt'altro e sono poco interessati alle reali sorti del Paese.
Enzo Pellegrino

Lo slancio non è solo privato
È esemplare che un cittadino / contribuente versi somme così ingenti. È comprensibile che esprima la sua delusione ed è altrettanto comprensibile la risposta del ministro dell'Economia. Io trovo però che la verità stia sempre nel mezzo: dal 1° ottobre del 2006 sono diventato un dipendente pubblico, grazie alla norma che ha stabilito che tutte le ex esattorie gestite da privati o banche entrassero in una holding nazionale che porta il nome di Equitalia. È stato un toccasana, perché la gestione privata non decideva e non investiva (anche se può suonare strano). Ora in questa azienda finalmente si vedono programmazioni e indirizzi, soprattutto nella lotta all'evasione e al perseguimento di quei «furbetti» che sono tutti contribuenti «privati» e che pagano solo se sollecitati, spinti e obbligati. Stiamo facendo il possibile perché vi siano molti cittadini/contribuenti che capiscano che pagare le tasse è un dovere al quale non ci si può nè ci si deve sottrarre.
E-mail firmata

RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio
L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.


 
   
 
 
 

-UltimiSezione-

-
-
22 maggio 2010
21 maggio 2010
21 maggio 2010
20 maggio 2010
20 aprile 2010
 
Gli esperti del ministero rispondono a tutti i dubbi sugli incentivi
La liquidazione: rimborsi e debiti
I redditi da dichiarare
La salute e gli altri sconti
La famiglia e la casa
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-