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La Finanziaria «leggera» e le due anime del Governo

di Roberto Perotti

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Giovedí 04 Ottobre 2007


Da mesi sapevamo quali sarebbero stati i difetti della Finanziaria. Non c'è alcun tentativo di tagliare la spesa pubblica. E le maggiori entrate fiscali sono state utilizzate per finanziare nuove spese, anziché per fronteggiare le difficoltà che verranno, come suggerisce qualsiasi manuale di finanza pubblica (e il senso comune).
Tutto vero, naturalmente, e non c'è molto da aggiungere. Ma a questo punto è importante porsi due domande: questa politica è tanto diversa da quella del Governo precedente? E, realisticamente, qualcun altro avrebbe potuto fare molto meglio del ministro Padoa-Schioppa?
Ci sono due tipi di ministri nel Governo attuale. Alcuni, tra cui il ministro dell'Economia, operano da anni a contatto con gli ambienti produttivi e finanziari nazionali e internazionali, e comprendono e accettano il mercato. Molti altri invece si sono formati in anni e ambienti in cui era obbligatorio citare Marx e Gramsci, e da quella esperienza hanno derivato una diffidenza istintiva per il mercato, che peraltro non comprendono e tantomeno accettano. La loro visione dell'economia è elementare. Hanno un'idea vaga del ciclo economico, che attribuiscono sempre e comunque a una mancanza di domanda aggregata, da rimediare chiedendo allo Stato di spendere di più e agli imprenditori di essere meno egoisti. Non conoscono un problema che non possa essere risolto con l'intervento dello Stato, ma ignorano la dura realtà del vincolo di bilancio, secondo cui se lo Stato spende di più oggi dovrà tassare di più domani. E non comprendono la nozione di incentivi: se le tasse e la burocrazia fanno scappare un imprenditore del Nord-Est, è secondo loro solo perché gli manca il senso di responsabilità sociale. Da ultimo, nell'immaginario collettivo di cui sono partecipi, il Governo di centro-destra ha impersonato il tentativo di restringere lo Stato sociale: la missione di cui si sentono investiti è dunque di invertire questa tendenza.
È alla luce di questa realtà che va cercata la risposta alle due domande poste sopra. E per farlo bisogna guardare al trend della spesa pubblica, non alle tasse: è la spesa che ci dice quante tasse in totale dovremo pagare nell'arco della nostra vita.
È vero, come hanno rilevato molti commentatori, che tra il 2006 e il 2008 la pressione fiscale aumenterà di quasi due punti del Pil. Ma il vincolo di bilancio dello Stato ci dice che se la spesa pubblica oggi e domani è 100, posso tassare 90 oggi e 110 domani, oppure 110 oggi e 90 domani: il totale è sempre lo stesso.
Tra l'ultimo anno pieno del Governo Berlusconi, il 2005, e il primo anno pieno del Governo Prodi, il 2007, la spesa primaria è rimasta praticamente costante, a circa il 44,2% del Pil; nel 2008 forse aumenterà, ma di poco. Tra l'ultimo anno pieno del precedente centro-sinistra, il 2000, e il primo anno pieno del centro-destra, il 2002, la stessa spesa è aumentata invece di esattamente due punti percentuali, dal 39,9 al 41,9%; e nei tre anni seguenti del centro-destra aumentò di altri due punti percentuali. E contrariamente a quanto molti forse pensano, gran parte di questo aumento fu dovuto alla spesa corrente, non a quella in conto capitale. La situazione ciclica era diversa, poiché il 2002 fu il peggiore degli ultimi dieci anni e il 2006 è stato un buon anno; ma questo non basta a spiegare la differenza.
Il Governo di centro-destra aveva la stessa cieca fiducia negli effetti della spesa pubblica che hanno ora molti dei ministri che gli sono succeduti; e i metodi utilizzati tradivano spesso una disarmante mancanza di professionalità. Per ben due anni, nel 2001 e nel 2002, il Dpef assunse una crescita programmatica (cioè, per effetto dei provvedimenti del Governo) del 3% in ognuno dei cinque anni successivi, quando mai dopo gli anni 70 l'Italia ha avuto simili tassi di crescita, e quando tutti gli organismi indipendenti prevedevano molto meno. E ancora nel 2003, quando la crescita si era attestata allo 0,4%, il Dpef continuava a prevedere una crescita, sempre grazie a fantomatici interventi del Governo, di oltre il 2% in ognuno dei quattro anni successivi. Si sprecò così colpevolmente tempo prezioso sognando una crescita che, ahimè, neanche il Governo poteva creare. Né si può dimenticare l'ossessione per le grandi opere, a cui di fatto si ridusse negli ultimi tempi la politica economica del centro-destra, e che portò ripetutamente il presidente del Consiglio Berlusconi a sbandierare cifre esorbitanti ma di pura fantasia. Infine, se il ministro Padoa-Schioppa oggi è in balìa di alcuni ministri irresponsabili, ciò si deve anche al sistema elettorale proporzionale, reintrodotto altrettanto irresponsabilmente dal governo di centro-destra.
Si poteva fare meglio? Certamente. L'Italia è ancora un Paese con spesa pubblica da Paese socialista, e con servizi pubblici di poco migliori; e non sarà questo Governo che cambierà la situazione. Due extra-gettiti sono stati dissipati, e ci avrebbero fatto comodo ora che la crescita probabilmente diminuirà. Su tante questioni, dalla sanità al Sud, dall'impiego pubblico all'istruzione a tutti i livelli, anche i ministri più "illuminati" sembrano ancora incapaci di scostarsi da una mentalità statalista e dirigista. Ma se si guarda alle richieste di spesa di molti ministri con potere di veto, e soprattutto alla loro mentalità, è giusto riconoscere che avrebbe anche potuto andare molto peggio. Almeno di questo va dato atto al ministro Padoa-Schioppa e ad alcuni suoi colleghi.

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