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Nessuna estensione alle spese correnti

di Stefano Pozzoli

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Martedí 30 Ottobre 2007

La pronuncia della Corte dei Conti arriva in un momento che vede l'opinione pubblica attentissima al tema della "finanza immorale". Cioè a tutte le operazioni con cui gli enti pubblici tradiscono il patto generazionale per cui le spese dei padri non devono pesare, centuplicate, su figli e nipoti.
L'esempio dei derivati è emblematico di questo modo di fare, perché si prestano ad abusi e storture. Il problema, però, non è circoscrivibile ad un solo strumento che, se utilizzato correttamente, può rivelarsi prezioso (al pari di un mutuo o una cartolarizzazione).
I derivati non sono il diavolo, e ha ragione il ministro Padoa-Schioppa a sottolinearlo. Il problema, più generale, è nell'uso delle risorse che si reperiscono con la finanza, "creativa", "innovativa" o tradizionale che sia. Una regolamentazione dei soli derivati è inutile, per risolvere il problema.
Partiamo da una considerazione di fondo: i debiti dovrebbero avere una durata correlabile alla vita del bene che si acquista. Il prestito ai cittadini per l'acquisto di una casa non supera i 30 anni perché ci si attende che l'utilità della casa sia pari a quel periodo. Per ovvie ragioni di garanzia e di equilibrio.
Per i Comuni, però, non è così: si acquista un'auto con un mutuo a 20 anni, poi il mutuo viene rinegoziato per allungarne la durata per altri 20 e così via. Incredibile? Ci sono capoluoghi di regione che hanno da poco concluso operazioni che coinvolgono mutui nati negli anni '70. Erano i tempi di Riva e di Rivera, al governo si alternavano Moro, Leone, Rumor, Colombo e, certo, Andreotti.
Come intervenire? Sarebbe irrealistico pensare a una norma che imponga una correlazione stretta tra bene e debito. La soluzione va cercata altrove, spezzando i nodi gordiani che spingono gli attori del sistema a comportarsi in modo patologico.
Da una parte, è necessario arrivare alla eliminazione, graduale ma totale, di quell'anomalia rappresentata dalla delegazione di pagamento, cioè del privilegio che godono i crediti bancari su tutti gli altri (perfino sui crediti da lavoro, al contrario di quanto accade nella normalità dei casi).
Analizzando le singole situazioni è evidente che gli autori delle operazioni più spericolate (e non ci sono solo alcuni Comuni ma anche molte Regioni e, ahimè, lo Stato) agiscono così non (solo) per ignoranza ma, soprattutto, per utilizzare i «proventi» per le spese correnti. È inutile, allora, intervenire sull'uso scorretto di un solo strumento (vietandone uno se ne inventa un altro), ma è necessario ricondurre l'uso della finanza al suo ambito naturale e fisiologico, così da evitare tentazioni ed abusi.
Basta cioè una regola semplice ma generale: tutto ciò che riguarda il debito e la sua manovra deve essere destinato solo e soltanto ad investimento e mai, in nessun caso, a spesa corrente. Come Costituzione vuole.

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