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La strada peggiore

di Isabella Bufacchi

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La class action all'italiana già ieri al Senato è stata rinominata in senso dispregiativo "all'amatriciana". Gli stranieri non tarderanno a deriderla come la solita "spaghetti-law". L'Italia non ha perso l'occasione di fare una buona legge sull'azione collettiva. Ha fatto molto peggio: il legislatore, del tutto consapevole, ha varato una norma lacunosa, contorta, aperta agli abusi e dunque dannosa per l'economia del Paese. Per poi promettere: «Sarà modificata».
La class action, attesissima soprattutto dalle classi sterminate di risparmiatori traditi che però hanno rischiato fino a ieri di rimanere tagliati fuori, è dunque nata male: nasce storta e andrà raddrizzata. Un modo di procedere che non promette nulla di buono: perchè le modifiche e le correzioni dovranno essere tante e tali, in un arco temporale molto ristretto, da allontanare la prospettiva della «migliore norma possibile». E da alimentare il timore della «peggiore legge possibile».
La preoccupazione principale, che va al di là dei soggetti potenzialmente attaccabili dall'azione collettiva è dovuta alla mancanza di quel filtro riconosciuta dallo stesso ministro Bersani: che uno strumento così potente possa finire nelle mani sbagliate per obiettivi non virtuosi. La lezione americana ha insegnato al mondo intero che la class action può essere abusata da avvocati senza scrupoli e può mettere in ginocchio colossi industriali: senza tra l'altro aumentare la tutela dei più deboli, di quegli utenti o consumatori che non possono permettersi l'azione individuale. In un'Italia "spaghetti e mandolino", questo pericolo, che può avere effetti devastanti sul tessuto industriale, è arcinoto ma non ancora scongiurato.
L'Italia avrebbe potuto avere una class action peggiore: magra consolazione. Il primo testo Manzione-Bordon prevedeva la creazione di un fondo, alimentato con parte del ricavato dell'azione collettiva, per finanziare le associazioni dei consumatori. Fino a qualche ora prima della votazione, la parola «investitore» non era neppure menzionata nel testo: però i sostenitori della class action, quelli con mire populiste, richiamano sempre Parmalat e Cirio per conquistare classi di elettori.
La legittimazione ad agire, pur allargando lo spettro dei soggetti, non include i comitati, che secondo Guido Alpa «costituiscono l'espressione più democratica ed efficace delle istanze dei consumatori, e richiede l'iscrizione dei soggetti ad un registro ministeriale, limitando il diritto alla difesa». Il tetto sulla parcella degli avvocati è una farsa: perchè quel 10% non si sa a quale importo verrà applicato in quanto l'entità del risarcimento è indeterminato.
Le associazioni dei consumatori del Cncu ieri hanno naturalmente accolto a braccia aperte l'introduzione dell'azione collettiva. Quelle che potenzialmente potranno essere legittimate ad agire, come Legambiente e Siti, hanno apprezzato l'allargamento ad altri portatori di interessi non-Cncu. Ma non è piaciuta l'esclusione dei soggetti non societari, è stato criticato l'iter contorto della sentenza di condanna abbinata al verbale della conciliazione, si temono le implicazioni del meccanismo bifasico che obbliga il singolo danneggiato a ricorrere comunque in giudizio singolarmente per farsi riconoscere il risarcimento. L'organismo unitario dell'avvocatura ha rilevato che la norma, così com'è, non riduce il contenzioso. La legge non rafforza la figura del giudice, perchè è stato detto che il sistema giudiziario italiano non lo consente: ma chi si occuperà di certificare l'azione collettiva?
La class action ha un futuro in Europa. Alcuni Paesi hanno iniziato già a sperimentarla, come Danimarca, Francia, Portogallo, Francia. Bruxelles si sta muovendo e in prospettiva l'Ue si doterà di norme comunitarie. L'Italia ha accelerato, ha anticipato, è corsa avanti: ma se cadrà, dovrà risollevarsi da sola.

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