Nata da un errore. Un momento di distrazione, la confusione e il dito che va sul tasto sbagliato. È passata così la class action. Con le lacrime del «colpevole», il senatore di Forza Italia Roberto Antonione, a fungere da acqua battesimale alla norma.
Forse non poteva esserci genesi diversa per questa azione collettiva all'italiana. E le reazioni delle associazioni dei consumatori, beneficiarie dello strumento, non sono certo da meno, divise, come sempre, tra il plauso e lo sdegno: «Una schifezza» per il Codacons dell'avvocato Carlo Rienzi, una norma degna dell'«Italia di Arlecchino e Pulcinella » per l'Aduc, una vittoria per l'Adusbef, Altroconsumo e il Movimento consumatori (Mc). A completare il quadro c'è Cittadinanza Attiva che chiede di estendere la legge alla Pubblica amministrazione.
C'è da scommettere che lesigle non troveranno un accordo.
A metterle insieme, fino ad oggi, ci è riuscito solo il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu). Forse perché l'iscrizione all'elenco del Cncu è il requisito indispensabile per accedere ai fondi statali, che vengono ripartiti non sulla base di criteri selettivi, bensì sul numero delle associazioni presenti. Al registro sono iscritte oggi sedici sigle, che, ogni anno, ricevono milioni di euro dal ministero delle Sviluppo economico per progetti non sempre di indubbia utilità. L'ultimo che si registra è la «Lotteria nazionale dei consumatori», nata per «coniugare la voglia di giocare e la necessità di essere informati».
In fondo, le sigle italiane sono abbastanza abituate ad agire sui confini. Ad esempio quelli tra consumerismo e sindacato, come nel caso delle tre di emanazione sindacale: Federconsumatori (Cgil), Adiconsum (Cisl) e Adoc (Uil), che, messe insieme, fanno circa 300mila iscritti. Queste, pur gestendo i finanziamenti in autonomia, hanno spesso le stessi sedi, e iscritti e collaboratori in comune.
Oppure il confine delle regole, come nel caso di Altroconsumo, l'associazione presieduta da Paolo Martinello, che è stata accusata in passato da alcune «colleghe» di essere una società di capitali e non un'organizzazione no-profit. Stesso problema ha avuto il Codacons, accusato di ricevere «finanziamenti illeciti dalle imprese».
Ma la terra di confine preferita dal consumerismo nostrano resta senza dubbio la politica: odiata, amata e anche provata. Carlo Rienzi, in questa duplice tensione verso il consumatore e il Parlamento, ha fatto scuola a tutti i colleghi. Perché se è vero che ci hanno provato in molti, da Elio Lannutti, presidente dell'Adusbef al segretario del Mc, Alessandro Miano – e che qualcuno ci è anche riuscito (come Stefano Inglese, ex presidente del Tribunale per i diritti del malato entrato nella squadra del ministro Livia Turco, e Donatella Poretti passata dall'Aduc alla Rosa nel Pugno) – l'avvocato salernitano, a seconda delle elezioni, dal 2004 in poi, è passato con grande elasticità da Veltroni a Storace, dall'«indipendenza da Berlusconi e Prodi»all'appoggio a entrambe le coalizioni. Niente da fare. Rienzi è ancora in pista, anche se oggi ha uno strumento in più tra le mani: la class action.