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Le riforme già approvate perdono i pezzi

di Marco Mobili

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28 gennaio 2008

Tanta carne al fuoco, che rischia però di andare in fumo. La crisi politica che ha portato alla caduta del Governo Prodi avrà pesanti ripercussioni sul nutrito pacchetto di leggi e riforme alle quali Esecutivo, Parlamento e amministrazioni stavano lavorando.
Venerdì scorso il Consiglio dei ministri ha dettato le linee guida per la gestione della cosiddetta "ordinaria amministrazione" e che inevitabilmente si traduce nella gestione di emergenze e urgenze. E ancora nell'emanazione di provvedimenti vincolati a termini in scadenza o a impegni internazionali e comunitari.
In questa stretta griglia, quindi, rischiano di rimanere schiacciati e di rallentare il loro iter moltissime delle misure annunciate per riformare più di un settore: dal lavoro alla previdenza, dal Fisco alla giustizia.
Il pericolo maggiore lo corrono i 10 decreti legislativi previsti da deleghe già conferite al Governo, ma non ancora emanati, ai quali si aggiungono una ventina di direttive da recepire sulla base della Comunitaria 2006.
Oltre alla riforma del welfare (si veda l'articolo a pagina 2), rallenta la sua corsa anche il riordino della disciplina relativa agli statuti e agli organi di governo degli enti pubblici di ricerca, mentre potrebbe rientrare tra le priorità indicate dalla direttiva di Palazzo Chigi il decreto sul riordino della disciplina in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. E questo sia per l'emergenza, ormai quotidiana, sulle morti bianche, sia perché il decreto delegato (legge 123/07) deve essere emanato entro il prossimo 25 maggio 2008.
Tempi più lunghi per l'esercizio della delega sono invece previsti per le modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario e in particolare per l'emanazione delle disposizioni di coordinamento. Ma la delicatezza del tema difficilmente lascia pensare a una stesura delle norme delegate da parte del ministero della Giustizia dimissionario e, per di più, ad interim.
Ai decreti delegati di riforma si aggiungono, poi, quelli previsti per l'attuazione delle direttive comunitarie in scadenza e riportati negli allegati alle leggi comunitarie. Non sono pochi, visto che oltre a quelli fermi in Parlamento e imbarcati dalla comunitaria 2007 all'esame della Camera, si sono accodati anche quelli elencati nella legge comunitaria 2008 licenziata venerdì scorso. Non va dimenticata, poi, la comunitaria 2006: solo 9 delle 27 direttive Ue allegate sono state recepite con approvazione ed emanazione dei decreti legislativi. Le altre, tra cui quelle sulla pari opportunità in materia di occupazione e impiego o quella sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali sono rimaste in lista d'attesa e in alcuni casi con gli schemi di decreti già predisposti.
L'"ordinaria amministrazione" potrebbe sbloccare i 67 provvedimenti di attuazione delle norme della Finanziaria 2008 che prevedono un termine di approvazione. Non dovrebbero avere problemi i decreti, attesi per metà febbraio, sulla compartecipazione delle regioni all'accisa sul gasolio per autotrazione o quelli previsti già per fine gennaio sui crediti d'imposta per la sicurezza degli esercizi commerciali e per il passaggio alla moneta elettronica dei tabaccai (all'Economia è già tutto pronto).
A rischiare lo stop sono invece gli interventi di più ampio respiro, soprattutto in materia di fiscalità. Si pensi, a esempio, al decreto sulla tassazione del reddito di impresa per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali. La stessa norma (articolo 1, comma 60) parla di provvedimento di natura regolamentare e come tale destinato all'esame del Consiglio di Stato. Un esame che, rispetto ad altri decreti ministeriali, implica scelte politiche e di indirizzo più delicate.
Lo stesso vale per le commissioni di studio previste espressamente dalla Finanziaria e che avrebbero dovuto portare a una profonda rivisitazione della tassazione sugli immobili, così come sul trattamento di fine rapporto. C'è poi la più volte annunciata riforma dei coefficienti di ammortamento fermi a un decreto del 1988, o ancora quella sulle spese di rappresentanza.
Un discorso a parte, poi, merita la tassazione dei capital gain per le quote qualificate delle persone fisiche, la cui percentuale di prelievo è rimasta agganciata a un "futuro" decreto ministeriale dopo che nella Finanziaria 2008 il Governo non indicò espressamente la nuova percentuale di prelievo, necessariamente più alta per bilanciare la riduzione di 5,5 punti dell'aliquota Ires. Un decreto che, peraltro, era stato pensato in attesa della nuova tassazione delle rendite e della più ampia riforma delle tassazione Irpef, ormai ferme nei cassetti del vice ministro dell'Economia, Vincenzo Visco.

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