Le crisi di governo producono molti effetti a cascata. Certamente, vanificano o rallentano processi di riforma di per sé complessi. Dal momento in cui il presidente della Repubblica accoglie le dimissioni del presidente del Consiglio uscente, dopo un voto di fiducia del Parlamento o perché si sgretola la coalizione, il Governo resta in carica solo per gli "affari correnti".
Si ferma dunque bruscamente tutta l'attività normativa, ma anche quella amministrativa che ha una qualche valenza politica generale. La macchina burocratica gira con il motore al minimo, sottoponendo alla firma dei ministri solo gli atti di "routine".
Lo stallo colpisce tutta l'attività normativa, cioè l'emanazione dei decreti legislativi e dei regolamenti e decreti previsti dalle leggi varate dal Parlamento nei mesi precedenti, in attuazione del programma di Governo o delle manovre finanziarie.
Negli ultimi anni poche sono le leggi autoesecutive, cioè di immediata applicazione pratica. Gran parte di esse sono solo il primo passo di un processo di normazione che impegna il governo per mesi se non addirittura anni. Lo stesso Parlamento interviene a valle delle leggi di delega approvate per esprimere un parere sugli schemi dei decreti attuativi.
Alcuni dati fanno riflettere. La legge finanziaria 2008 approvata a fine dicembre prevede 202 provvedimenti attuativi da varare entro una scadenza prefissata (67 casi) o senza l'indicazione di un termine (135 casi) (si veda «Il Sole-24 Ore» del 24 dicembre 2007). La legge finanziaria 2007, approvata poco più di un anno fa, rinviava a ben 346 decreti attuativi. A un anno di distanza, solo poco più di un terzo erano stati emanati.
Se dunque l'attività normativa sublegislativa è un cantiere sempre aperto, la crisi di governo è una bufera improvvisa che determina una sospensione forzata dei lavori.
In alcuni casi, il "fermo-cantiere" può produrre danni irreparabili. Ciò accade per le deleghe legislative che prevedono termini perentori per l'emanazione dei decreti legislativi attuativi. Per esempio, la legge in tema di previdenza, lavoro e competitività 24 dicembre 2007, n. 247 di attuazione del Protocollo siglato con le parti sociali nel luglio scorso contiene ben sei deleghe che scadono entro un anno e in un caso entro tre mesi.
Nella gran parte dei casi i termini fissati dalla legge per i regolamenti e decreti attuativi non sono perentori. Le dimissioni del Governo determinano soltanto ritardi più o meno gravi.
Ma c'è anche un'altra eventualità che dipende dallo sbocco della crisi politica.
La discontinuità è minima se il nuovo Governo è un rimescolamento di quello uscente. Nella prima Repubblica ciò era la regola: molti ministri venivano confermati a capo degli stessi ministeri. La discontinuità è massima se intervengono elezioni anticipate, specie se si verifica un mutamento nella maggioranza parlamentare.
Infatti, la fine della legislatura vanifica tutta l'attività parlamentare. Le proposte di legge approvate da un solo ramo del Parlamento cadono nel nulla e non è detto che esse vengano poste all'esame delle nuove Camere.
È sempre un male tutto ciò? Il dubbio sorge per i tanti provvedimenti cervellotici, che sembrano fatti apposta per complicare la vita ai cittadini e alle imprese. Lo stallo può essere anche motivo di sollievo.