La previdenza complementare serve perché gli aderenti incassino al momento della pensione, un reddito aggiuntivo rispetto alla pensione pubblica o di primo pilastro. Ciononostante, la normativa prevede che in caso di basse contribuzioni (dovute ad una iscrizione durata pochi anni o per poco denaro), il lavoratore possa incassare in forma di capitale l'intera somma cumulata, invece che sotto forma di rendita vitalizia. Ciò è possibile nel caso in cui, al momento di andare in pensione, il 70% di quanto prodotto, ossia il montante accumulato, non dovesse superare il 50% della pensione sociale. E' una situazione che riguarda chi ha versato per pochi anni in un fondo pensione (o poco denaro). Ad esempio, chi avesse iniziato a lavorare prima del 28/4/93 vedrà la propria posizione pensionistica fino a quella data contabilizzata secondo il regime retributivo (rendita parametrata al numero di anni di lavoro) e la parte successiva secondo il regime contributivo (rendita parametrata all'ammontare di quanto versato), tipico anche della previdenza complementare.
Il che significa che è possibile "utilizzare" un fondo pensione con finalità di investimento, beneficiando di costi bassi e una deduzione fiscale (fino a 5.165,67 euro per i contributi volontari e del datore di lavoro). Tra i casi estremi di chi aderisce ad un fondo pensione per decenni, e che sicuramente otterrà una rendita (oltre alla possibilità di ottenere al massimo il 50% in forma di capitale) e chi aderisce poco tempo e potrà avere tutto in capitale – c'è tutta un'area in cui un euro in più o in meno di contribuzione potrà fare la differenza. Ecco perché abbiamo messo a punto questa elaborazione insieme a Mefop che aiuta a capire quale può essere la soglia di contribuzione oltre la quale scatta l'obbligo di ricevere almeno la metà del montante finale in forma di rendita; ovviamente sulla base di alcune stime di costi, rendimenti e durata di contribuzione.