Pronti via e sono quasi 70mila i lavoratori italiani che si apprestano ad andare in pensione. Tutti in procinto di sfruttare la prima finestra utile per l'accesso ai trattamenti di anzianità: quella che si apre il prossimo 1ڡprile.
Delle 90mila domande esaminate dall'inizio dell'anno, a fine febbraio l'Inps risultava averne accolte 68.808 (di cui quasi 49mila provenienti dai dipendenti e oltre 18mila dagli autonomi). Laddove, nel bilancio preventivo per il 2008, erano state conteggiate 162mila prestazioni di anzianità da liquidare nell'intero arco dei 12 mesi.
Siamo di fronte a un boom? Troppo presto per dirlo, poiché la stima dell'Istituto previdenziale era stata realizzata senza tenere conto delle modifiche legislative che di lì a poco sarebbero intervenute (una su tutte,l'eliminazione dello "scalone" previsto dalla legge Maroni con il mix di quote e " scalini" introdotte dalla legge sul protocollo Welfare). E, dunque, senza includere gli effetti che le nuove norme avrebbero avuto sui comportamenti degli aspiranti pensionati.
Anche prendere i dati fin qui pervenuti e operare una proiezione sull'intero 2008 non basterebbe a risolvere la questione. Come conferma Francesco Papa,direttore centrale per l'informazione statistica dell'Inps. Uno che ha sotto gli occhi tutti i giorni l'universo previdenziale italiano e che, proprio per questo, invita ad astenersi da qualsiasi semplificazione. Sottolineando come «il portafoglio dei pensionati sia sempre più composto da soggetti che effettuano le proprie scelte seguendo i comportamenti più diversi: non solo per convenienza personale, quindi, ma anche perché influenzati dalle modifiche legislative o dalle campagne di stampa».
In quest'ottica, qualche indicazione in più potrebbe giungere dall'analisi della propensione al pensionamento degli italiani. Una dinamica che la direzione statistica dell'Inps ha studiato di recente, giungendo a risultati interessanti. Alcuni già noti, come il fatto che i trattamenti di anzianità siano un fenomeno localizzato soprattutto al Centro-nord. Altri meno.
Ad esempio, analizzando il periodo 2001-2006, l'Istituto ha scoperto come, ad andare in pensione appena raggiunti i requisiti minimi, sia stato in media l'84% dei dipendenti, contro il 72% degli autonomi. Una discrepanza sensibile che, tuttavia, da sola spiega poco. Se si passa ad analizzare il trend, invece, emerge un andamento costante fino al 2005. Quando, all'improvviso, la quota di chi sceglie di posticipare l'uscita dal mondo del lavoro è passata dal 12,7 al 26,8 per cento. Proprio in coincidenza con il varo del "superbonus" introdotto dalla legge Maroni.
Un fenomeno analogo ha interessato gli iscritti alle gestioni dei coltivatori diretti, artigiani o commercianti a cavallo tra il 2002 e il 2003. In quell'anno, la propensione a posticipare l'uscita dal mondo del lavoro è schizzata dal 15,7 al 30,8 per cento. Salendo successivamente al 33 o 34%, dove si è poi assestata. Un'impennata che all'Inps è stata correlata con le modifiche normative che avevano nel frattempo interessato il "cumulo". La Finanziaria 2003, infatti, aveva definito totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo o dipendente le pensioni di anzianità liquidate con un'anzianità contributiva pari o superiore a 37 anni a condizione che l'interessato avesse compiuto i 58 anni d'età.
Una lezione che, sebbene declinata al passato, potrebbe venire buona per l'immediato futuro.
Tanto è vero che, sia il Pd che il Pdl, in caso di vittoria elettorale, sarebbero intenzionati ad abolire i casi residui in cui oggi opera il divieto di cumulo. Una scelta esattamente opposta a quella suggerita dai tecnici dell'Istituto che, nel citato studio sulla propensione, suggerivano di eliminare la possibilità per gli autonomi «di percepire la pensione di anzianità senza cessare l'attività lavorativa (come previsto per i dipendenti) evitando così di configurare la pensione di anzianità come una rendita», ovvero di «modificare la norma sul cumulo portando l'età minima a 60 anni e l'anzianità contributiva a 39 o 40 anni».
Una moral suasion che lo stesso Papa spiega così: «Anziché trattare il cumulo in termini di bilancio e dunque preoccuparsi solo di quanto costerebbe la sua eliminazione, sarebbe più opportuno utilizzarlo, lì dove serve, per raffreddare la propensione al pensionamento oppure per favorire l'emersione del nero».
Anche perché stando ai verbali Inps, oltre il 30% del sommerso accertato dagli ispettori interni riguarda soggetti già in pensione.