Il monitoraggio e le restrizioni alla circolazione del contante, per lungo tempo patrimonio della disciplina antiriciclaggio, sono stati adottati anche dal Fisco. Con la manovra Visco-Bersani del 2006, infatti, sono stati introdotti limiti per i pagamenti in contanti ai professionisti. L'obiettivo è contrastare l'evasione fiscale che si può realizzare con il mezzo "incontrollabile" per antonomasia. Il contante, appunto.
Contante sempre più limitato
La norma della Visco-Bersani (articolo 35, commi 12 e 12-bis del decreto legge 223/06), in vigore dal 12 agosto 2006, impone ai professionisti di incassare i compensi solo attraverso strumenti finanziari tracciabili e non in contanti. Per strumenti finanziari tracciabili si intendono: assegni non trasferibili, bonifici, altre modalità di pagamento bancario o postale, sistemi di pagamento elettronico. Sono ammesse, in sostanza, tutte le modalità di pagamento, tranne il contante. Tuttavia, la disciplina è soggetta a importanti deroghe: quelle relative a pagamenti di importo limitato e quelle che riguardano particolari categorie di clienti.
Il comma 12-bis dell'articolo 35 della Visco-Bersani (modificato dalla Finanziaria 2007) esonera dalla disciplina dei pagamenti monitorabili i compensi per somme unitarie inferiori a determinate soglie che verranno via via ridotte. In particolare, dal 1° luglio 2007 fino al 30 giugno 2008 il limite è di mille euro, che si ridurrà a 500 euro dal 1° luglio 2008 al 30 giugno 2009, per passare poi alla soglia definitiva di 100 euro dal 1° luglio 2009 (si veda il grafico).
Quindi, a meno che non ci siano nuove modifiche, i clienti dei professionisti, che attualmente possono pagare in contanti importi fino a mille euro, dal 1° luglio di quest'anno dovranno abbandonare i contanti per pagamenti sopra i 500 euro.
I destinatari
Il concetto di professionista va inteso in senso fiscale: si tratta di persone fisiche che esercitano arti e professioni (secondo la definizione dell'articolo 53, commi 1 e 2, Tuir) e di società o associazioni fra artisti e professionisti (articolo 5, lettera c, Tuir).
I redditi di lavoro autonomo sono – secondo l'articolo 53 commi 1 e 2 del Tuir – quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni, cioè la professione abituale, anche se non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle d'impresa (compreso l'esercizio in forma associata). Sono redditi di lavoro autonomo anche quelli che derivano da utilizzazione economica da parte dell'inventore o dell'autore di opere dell'ingegno, brevetti e simili (se non sono conseguiti nell'ambito dell'impresa). E ancora: le partecipazioni agli utili degli associati in partecipazione di solo lavoro, le partecipazioni agli utili che spettano a promotori e soci fondatori di società di capitali, le indennità per cessazione di rapporti di agenzia, i redditi da attività di levata dei protesti da segretari comunali.
In base a queste definizioni, i nuovi vincoli non si applicano ai pagamenti verso e da soggetti che esercitano attività d'impresa in forma associata o individuale. Per esempio, il pagamento fatto da un privato a un piccolo artigiano non subisce le limitazioni previste dall'articolo 35 del decreto legge 223/06. Al contrario, vi rientra in pieno il pagamento a un medico o a un avvocato. Questo perché il legislatore ha individuato nei professionisti i soggetti più idonei a fungere da collaboratori del Fisco.
Il concetto di compenso
Quando si deve stabilire la misura dell'importo, la disciplina fa riferimento al compenso per il servizio del professionista. Su questo passaggio sono sorti e sono tuttora irrisolti alcuni dubbi. Ci si chiede, in particolare, se in caso di pagamenti frazionati di un'unica prestazione il limite vada riferito al compenso complessivo o a ogni pagamento (per esempio, un compenso di 1.200 euro pagato in due rate di 600).
La logica e il testo della norma suggeriscono che il limite vada riferito al compenso complessivo, anche perché in caso contrario si aprirebbe la via a facili pratiche elusive attuate mediante pagamenti frazionati.
Il concetto di compenso comprende poi sicuramente i rimborsi spese. Resta invece dubbia l'inclusione dell'Iva e dell'eventuale contributo previdenziale riaddebitato, che non costituiscono base imponibile fiscale per il professionista.
Comunque, nel caso di pagamenti a medici, dentisti, fisioterapisti e simili – che sono poi quelli che maggiormente interessano i clienti privati – non sorge alcun problema perché si tratta di importi esenti Iva. Proprio in relazione a questa casistica, bisogna ricordare che per chi si rivolge ad ambulatori o strutture sanitarie private in cui operano medici e paramedici indipendenti, dal 1° marzo 2007 c'è l'obbligo di effettuare il pagamento non nelle mani del professionista, ma direttamente alla struttura sanitaria che dovrà registrare il pagamento (si veda l'articolo seguente).
Soggetti esonerati
È evidente che l'obbligo di effettuare i pagamenti ai professionisti con mezzi di pagamento diversi dai contanti può comportare un incremento di aggravi e costi anche per il cliente privato, che deve dotarsi – quanto meno – di un conto corrente e sopportare gli oneri per commissioni bancarie o postali che riguardano i pagamenti con bonifico o simili.
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