Negli Stati Uniti e nelle vicine Inghilterra e Germania (e magari in altri paesi anche in Asia o Africa), sembra che non si possano conoscere le denunce dei redditi dei cittadini che vi risiedono, ma ora chiunque abiti in quei paesi e abbia un minimo di maestria con internet può comunque sapere quanto guadagnano gli italiani. E' questo uno dei tanti, devastanti effetti derivanti dall'inaspettata e controversa pubblicazione degli elenchi dei redditi dei contribuenti relativi al 2005 sul sito internet dell'Agenzia dell'Entrate (http://www.agenziaentrate.gov.it), attualmente sospesa a seguito dell'intervento del Garante della Privacy adottato tempestivamente prima della festa dei lavoratori.
Nonostante l'immediato provvedimento dell'Autorità, come succede spesso con la velocità della rete, sono state sufficienti poche ore. Grazie alle discutibili modalità prescelte dall'amministrazione finanziaria per la consultazione dei dati i file degli elenchi, sono stati salvati in copia da diversi, anonimi utenti e girano ora indisturbati su internet a disposizione dei naviganti più o meno esperti. Ove poi non bastasse già la cassa di risonanza del web, diversi dati, per lo più di c.d. vip -o presunti tali- ma non solo, sono stati poi ripubblicati da tutti i giornali in particolare evidenza, così da richiamare l'attenzione anche dei meno accorti. E già sono state annunciate nuove e più ampie pubblicazioni, con aggiunta di particolari e fotografie identificative (soprattutto per i imprenditori, professionisti, artisti, ecc. meno noti ai più).
Ma, al di là di disquisizioni politiche e filosofiche sul se l'iniziativa sia giusta o meno (se effettivamente rappresenti, come si è detto, un fatto di "democrazia"), la gente si chiede invece se tutto quello che è successo sia legale, o meglio se la pubblicazione on-line dei propri redditi sia prevista da una norma di legge o di regolamento e se sia rispettosa della disciplina sulla privacy.
Anche alla luce di quanto emerge dal provvedimento del Garante Privacy sembra proprio di no.
Primo. E' stato confermato che la normativa fiscale di riferimento attualmente vigente (art. 69 del d.P.R. 600/1973 e art. 66-bis del d.P.R. 633/1972) non prevede la pubblicazione degli elenchi nominativi dei contribuenti (ossia di tutti coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi) attraverso siti della rete internet, ma stabilisce espressamente una diversa e specifica modalità di pubblicazione che si realizza attraverso la loro messa a disposizione per la consultazione per un anno presso gli uffici territorialmente competenti dell'Agenzia delle Entrate e presso i comuni interessati (comma 6 del citato art. 69). E, in proposito, il Garante ha più volte precisato in passato come la pubblicazione degli elenchi derivasse "da una precisa scelta normativa" e potessero ritenersi compatibili con la legge sulla privacy e, quindi, lecite solo "determinate forme di pubblicità", in quanto previste dal legislatore "per finalità di interesse pubblico o della collettività".
Secondo. L'introduzione di una diversa forma di pubblicità non prevista dalla normativa vigente in materia, ossia della pubblicazione degli elenchi anche sul sito internet dell'Agenzia, è stata invece disposta non con legge, ma con un provvedimento del Direttore dell'Agenzia dell'Entrate, ossia un atto amministrativo definito dalla stessa amministrazione a carattere "tecnico-gestionale".
Anche il più volte citato Codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005) non pare più di tanto che possa essere chiamato a sostegno della legittimità del provvedimento. Si, è vero che in tale Codice si stabilisce il principio secondo cui la disponibilità di dati e documenti della PA sia garantita con l'uso delle "più appropriate" tecnologie dell'informazione e comunicazione, ma alle condizioni fissate dall'ordinamento e con i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, nonché dalla normativa sulla privacy (v. l'art. 50 del Codice suddetto).
Dunque, si torna al punto di prima: in realtà, la normativa attualmente vigente non prevede la pubblicazione on-line degli elenchi. Si può discutere semmai se l'amministrazione avesse potuto creare sul proprio sito un'appropriata procedura informatizzata di accesso alle pagine web che riproducesse la modalità di consultazione degli elenchi cartacei presso gli uffici locali e le sedi comunali (il che non è cosa semplice), ma sicuramente senza lasciare la possibilità di libero salvataggio dei dati (con funzioni di trasferimento file, come precisa l'Autorità).
Terzo. La validità del discusso atto amministrativo è inficiata da un ulteriore difetto, in quanto tale provvedimento, pur avendo, in modo evidente anche per l'uomo della strada, un impatto assai rilevante sulla protezione dei dati e della riservatezza dei contribuenti, non è stato sottoposto preventivamente all'esame del Garante per il rilascio del relativo parere. Per gli atti amministrativi dei ministeri dello Stato tale verifica è infatti obbligatoria per legge (art. 154, commi 4 e 5, del d.lgs. 196/2003, il c.d. Codice della privacy) ed è strano che, diversamente da tutti i precedenti casi relativi ad atti in materia di anagrafe tributaria -per i quali è stato invece acquisito il placet dell'Autorità-, l'Agenzia dell'Entrate non ne abbia seguito tale procedura.
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