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Un premio alla produttività

di Fiorella Kostoris

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20 MAGGIO 2008

Il premier Silvio Berlusconi ha ribadito nel suo discorso programmatico che intende coniugare la crescita economica con il sostegno alle famiglie e lo sviluppo dell'autonomia della donna. Uno strumento ideale e concreto a breve termine per iniziare un percorso in questa triplice, auspicabile, direzione è la detassazione, nei confronti di chi già svolge un'attività a tempo pieno, delle ore individuali lavorate in più rispetto al passato.

È importante che il lavoro extra venga inteso rispetto al passato (ad esempio in confronto alla media del triennio precedente), piuttosto che rispetto a un orario lavorativo ordinario, fissato in 40 ore medie settimanali, generalmente non raggiunte dagli occupati italiani, men che meno dalla loro componente femminile.

Un tale provvedimento fiscale si iscriverebbe meglio nella logica, perseguita dal nuovo Governo, di premiare le componenti del salario legate allo sforzo individuale, perché favorirebbe non chi precedentemente lavorava di più, ma chi più è pronto ad accrescere il proprio impegno fra coloro cui l'azienda lo propone, a fronte di adeguati incentivi retributivi quali quelli derivati da un'aliquota bassa e forfettaria sul reddito addizionale.

Non solo si tratterebbe di un ottimo mezzo di selezione degli occupati più "meritevo-li", che includerebbe, in termini però non esclusivi, i disponibili allo straordinario – coinvolgendo quindi una frazione presumibilmente maggiore di famiglie italiane cui verrebbe aumentato il potere d'acquisto – bensì sarebbe anche un metodo per integrare nel mercato una quota aggiuntiva di lavoro femminile potenzialmente superiore a quella maschile. È noto, infatti, e ripetutamente ribadito anche sul Sole 24 Ore da Alberto Alesina e Andrea Ichino, che l'offerta di ore lavorate da parte delle occupate è assai più elastica rispetto al salario al netto delle imposte di quella dei colleghi uomini: dunque, se non emergessero esplicite preferenze o discriminazioni di genere nella domanda delle imprese, le lavoratrici, pur con un orario attuale inferiore al maschile, sarebbero le prime a reagire positivamente, divenendo le principali beneficiarie di tale misura, perché l'incentivo di fatto risulterebbe per loro più forte, e l'autonomia economico-sociale della donna sarebbe di conseguenza rafforzata.

D'altra parte, bisogna riconoscere che l'incremento delle ore lavorate è nell'immediato il principale se non l'unico modo per elevare il prodotto e la produttività. Tutte le scelte alternative in funzione di questo obiettivo,forse migliori in linea di principio dall'accumulazione in infrastrutture materiali e immateriali, agli investimenti in capitale umano nella scuola, nella ricerca, nella formazione permanente, nella sanità, alla promozione di nuovi valori più consoni alla globalizzazione in atto – richiedono un periodo lungo di gestazione, il che significa che divengono efficaci solo in un orizzonte temporale ampio. Proprio per questo dovrebbero essere impostate subito, mentre rischiano di essere dilazionate negli anni dal "policymaking", perché i risultati non sono rapidamente osservabili e sono quindi poco spendibili con gli elettori nell'arco di una legislatura.
Incentivare con detassazioni l'aumento dell'orario di lavoro degli occupati è un mezzo per conseguire quello scopo, ma non sembra il solo. Esso ha molti vantaggi, in particolare non dovrebbe trovare la contrarietà pregiudiziale dell'opposizione, dato che l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano si ispirava a idee simili e che la decurtazione tributaria ma non contributiva prospettata dall'attuale Governo lascia inalterato il beneficio pensionistico marginale, nel quadro di uno schema previdenziale a contribuzione definita, dal sindacato a parole considerato irrinunciabile.

È però possibile innalzare il monte ore lavorate anche con un sistema diverso, apparentemente preferibile, lavorando in più, anziché di più. In proposito, è necessario comprendere che i due sistemi non sono alternativi, bensì complementari, perché da un lato le vicissitudini francesi e italiane hanno dimostrato quanto controproducente sia l'utopia del "lavorare meno per lavorare tutti", dall'altro lato le esperienze dei Paesi nordici hanno indicato senza dubbi che il modello vincente della "flexicurity", atto a inserire nel mercato del lavoro fasce altrimenti emarginate, comunque richiede maggiore adattabilità e flessibilità delle imprese e dei già occupati. Anche se questi ingredienti sono insufficienti qualora non vengano accompagnati da costosi ammortizzatori sociali e da politiche attive del lavoro a effetti ritardati.

Proprio queste ultime annotazioni permettono, quindi, di concludere che l'opzione del far lavorare più persone non è altrettanto a "pronta consegna" e comporta ulteriori oneri per la finanza pubblica. Sia benvenuta, dunque, hic et nunc la detassazione voluta dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi, nella speranza che la stesura finale delle norme riveli quello spirito bipartisan che indurrebbe miglioramenti del provvedimento, senza eccessivi aggravi per le casse dello Stato.

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