L'accordo tra governo e Associazione bancaria italiana che permetterà di rinegoziare i mutui a tasso variabile interesserà, potenzialmente, un milione e 250mila famiglie. Tutte quelle che hanno, cioè, stipulato un mutuo a tasso variabile prima del gennaio del 2007 e che potrebbero scegliere di trasformare in fissa la rata ai tassi del 2006 rendendo mutevole la durata in base all'andamento futuro degli interessi. Un'operazione che, comunque, potrebbe non convenire a tutti (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 23 maggio), dato che il prolungamento del prestito potrà variare da un minimo di tre mesi fino a un massimo di 52 mensilità, nell'ipotesi peggiore.
La cifra che potenzialmente sarà rinegoziata nel complesso è enorme. Alla fine del 2006, infatti, secondo fonti bancarie il 70% delle consistenze dei prestiti alle famiglie prevedeva la rata variabile. Tenendo conto che lo stock totale era pari a 240 miliardi di euro, il valore corrispondente sarebbe di 170 miliardi, approssimativamente.
Le cifre sono ancora maggiori se si considera che, come annunciato dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, la possibilità di rinegoziazione si estenderà a chi ha acceso un mutuo nel 2007 e 2008. Non molto superiori, tuttavia. Dal 2007, infatti, la quota di finanziamenti a tassi variabili è crollata: secondo dati dell'Osservatorio Assofin, si è passati rispetto all'anno precedente da una predilezione per il variabile a una vera e propria fuga.

In termini percentuali, si è passati dal 59% dei contratti (e 64% dell'erogato) al 36%, pari al 39% del valore. Proiettando le percentuali dell'Assofin sul valore dell'erogato (dati Banca d'Italia), si è passati da 40 a 24 miliardi in un anno.
Nello stesso anno le rinegoziazioni ed estinzioni anticipate dei finanziamenti sono state, secondo una ricognizione effettuata dall'Abi , poco meno di 100mila. Considerando altri studi, come quelli di MutuiOnline, le percentuali variano leggermente ma la tendenza resta la stessa.
Il trend aveva infatti visto il picco per il variabile nel 2004, quando l'Euribor, la base su cui le banche applicano poi lo "spread", era stato per tutto l'anno intorno al 2,1 per cento, considerando il tasso a un mese. Anche il 2005 era stato caratterizzato da scelte plebiscitarie per la formula flessibile, con un valore di erogato stimabile in 41 miliardi. La prima inversione di tendenza si era avuta nel 2006, con una preferenza del 64% in corrispondenza di un Euribor che aveva toccato a fine anno quota 3,6% e che avrebbe raggiunto il suo apice nel dicembre 2007, al 4,95 per cento.
Sulla valutazione dell'accordo, le considerazioni di banche e consumatori sono diametralmente opposte: per l'Adiconsum il mutuatario rischia di pagare interessi aggiuntivi del 10-20 per cento. Una ricerca della banca d'affari Cazenove ha invece stimato che per le quattro principali banche italiane dall'accordo deriverebbe un impatto negativo di 371 milioni di euro. (Fa.Pa.)