Una stretta sull'informazione senza precedenti. E non c'è solo il divieto assoluto di pubblicare notizie sulle indagini – il rischio è sei mesi di carcere – o intercettazioni: la pena, in questo caso, sale a tre anni.
C'è anche la sospensione cautelare dalla professione fino a tre mesi, disposta dall'Ordine su indicazione del procuratore della Repubblica: è sufficiente che il giornalista sia solo iscritto nel registro degli indigati per violazione del divieto di pubblicazione. Pugno di ferro anche per gli editori: se si divulgano atti o documenti di un procedimento penale, di cui è vietata per legge la pubblicazione, scatta la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (decreto legislativo 231 del 2001), con una sanzione pecuniaria che può arrivare fino a 462mila euro.
Non è un caso, insomma, se martedì è convocata una riunione straordinaria della giunta della Federazione nazionale della stampa. «I giornalisti continueranno a informare, con senso di responsabilità e usando tutte le possibili tecniche. Insomma sapranno rispondere, sapranno come comportarsi. Anche se la libertà di stampa avrà fatto un passo indietro », dice Vittorio Roidi, ex segretario del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.
Colpiscono anche la norme sull'inutilizzabilità in processi diversi: l'articolo 7 del Ddl governativo stabilisce che le intercettazioni non possono essere usate nei procedimenti «diversi da quelli nei quali sono state disposte». L'articolo 8,poi,pone un limite ul-teriore: se il fatto sul quale si indaga, nell'udienza preliminare,risulta qualificato diversamente, l'intercettazione non è utilizzabile.
E ancora: non passano inosservati i commi 2-ter e il 2-quater dell'articolo 12, destinati agli ecclesiasti. Il primo prevede che, nel caso di indagini su un vescovo, il Pm invii l'informazione sull'inchiesta al Segretario di Stato vaticano. Il 2-quater, invece, dispone che, se l'indagato è un sacerdote, il Pm informi l'ordinario diocesano della circoscrizione dove ha sede la procura della Repubblica. Sul provvedimento è intervenuto ieri anche il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino. Intervistato da "Speciale Gr Parlamento" su Radio 3, Mancino ha sottolineato come la scelta di sottoporre a un collegio di tre giudici anziché al Gip la richiesta di intercettazioni possa creare un problema di organico a cui «il Ministero della Giustizia non può non rispondere con l'urgenza che i nuovi provvedimenti legislativi richiedono».
In difesa del Ddl si è schierato il premier Silvio Berlusconi. «Ci sono due livelli da tutelare: la privacy e la difesa dei cittadini. Non è accettabile che un cittadino – ha detto –alziil telefono e non sia sicuro di poter parlare liberamente. C'è bisogno di giustizia – ha aggiunto –ma bisogna trovare l'equilibrio tra i due interessi». Ma allora, gli ha ribattuto un cittadino, i «furbetti del quartierino» non sarebbero mai stati scoperti? «Secondo me non è vero, non è così», ha replicato Berlusconi.
Mentre il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, si è soffermato sui costi: una cifra compresa tra uno e due miliardi. «Questi soldi vengono spesi – ha affermato – per pagare società e società che a cascata fanno questo mestiere. Quando c'è una cascata ci può essere anche una caduta di controllo».
Feroce l'attacco di Antonio Di Pietro (Idv): «È un'altra legge a favore della casta che Berlusconi sta facendo».