Con la firma della convenzione fra Abi e ministero dell'Economia di due giorni fa si è definitivamente avviato l'iter che darà a quanti hanno contratto un mutuo per la prima casa a tasso variabile la possibilità di riportare l'importo della rata sui livelli del 2006. Il testimone passa adesso nelle mani delle famiglie italiane, che dovranno valutare con attenzione i pro e i contro dei termini della Convenzione prima di procedere all'adesione.
Gli effetti della convenzione
Alla rinegoziazione potranno accedere tutti i risparmiatori che hanno contratto un mutuo a tasso variabile prima del 29 maggio 2008, anche quelli che sono rimasti indietro con il pagamento delle rate (purché non sia nel frattempo intervenuta la risoluzione del contratto). Saranno le banche a inviare ai clienti interessati entro il prossimo 29 agosto la proposta di rinegoziazione con i termini dell'offerta. Successivamente, entro tre mesi dal ricevimento, ciascun mutuatario potrà optare o meno per l'adesione: in caso favorevole, a partire dalla prima scadenza del 2009 le rate verranno ricalcolate sulla base dei tassi medi registrati nel 2006.
Ricorrendo alla convenzione, tanto per fare un esempio, una famiglia che ha contratto un mutuo ventennale da 100mila euro nel settembre 2005 (alla vigilia, cioè, del ciclo di rialzi del costo del denaro operati dalla Banca centrale europea) potrà abbassare l'esborso mensile di quasi il 13% scendendo da 706 a 616 euro (vedi l'esempio sopra). La differenza fra l'importo della rata dovuta secondo il piano di ammortamento originariamente previsto e quello risultante dall'atto di rinegoziazione sarà però addebitato su un conto di finanziamento accessorio regolato al tasso che si ottiene dall'Irs a 10 anni, alla data di rinegoziazione, maggiorato di uno spread dello 0,5% (a meno che le banche non optino per un trattamento più favorevole).
Il nodo della durata
In altre parole, ciò che non viene versato al momento si accumulerà su un nuovo conto (sul quale graverà un interesse pari al 5,48%, in base agli attuali valori di mercato) e difficilmente verrà smaltito nel corso del piano di ammortamento, con il rischio più che mai concreto che la durata originaria del mutuo si possa prolungare. L'eventuale debito risultante dal conto accessorio sarà infatti rimborsato dal cliente al termine del piano originario con rate costanti dello stesso importo "convenzionato".
La durata dell'allungamento dipenderà soprattutto dall'andamento futuro dei tassi di interesse. Qualora questi rimanessero sui livelli attuali fino alla scadenza del finanziamento, il mutuo preso come esempio genererebbe un residuo da versare pari a 29.389 euro che sarebbe smaltito in 53 rate mensili. Nell'ipotesi (più realistica, e anche più favorevole per il mutuatario) in cui i tassi seguissero un andamento ciclico ripetendo quanto successo negli ultimi anni, al debitore resterebbero da pagare "soltanto" 9.743 euro e il mutuo si allungherebbe di 17 mesi.
Il confronto con la portabilità
In fondo, il nodo della scelta per il risparmiatore italiano è tutto qui: abbassando la rata attuale si corre il rischio di dover pagare di più e soprattutto più a lungo.
Per le famiglie più in difficoltà l'adesione alla convenzione sarà probabilmente obbligata, per chi invece conserva ancora qualche margine nonostante il caro-rata degli ultimi mesi, la decisione dovrà essere ben ponderata. Anche perché parallelamente alla convenzione Abi-Governo restano praticabili le vie d'uscita (rinegoziazione-surroga-trasferimento) proposte dal Decreto Bersani. Soluzioni, quest'ultime, che in molti casi appaiono più favorevoli per il risparmiatore, ma che non sempre risultano altrettanto facilmente ottenibili, come dimostra la recente esperienza di molte famiglie italiane.