La sfida della produttività nel pubblico impiego si gioca sul salario variabile. Che andrebbe agganciato ai risultati di strutture e dipendenti. Negli ultimi anni, però, le buste paga sono state il teatro di un costante spostamento di risorse dalla parte variabile a quella fissa, e la tendenza non sembra fermarsi. Nel 2005, le «voci stipendiali» fisse, rappresentavano il 77,6% del totale, e due anni dopo la loro incidenza era salita al 78,2%. Un margine, apparentemente minimo, dello 0,6%, che nell'oceano delle retribuzioni vale però almeno 5-600 milioni.
Le novità arrivano dall'intesa sul contratto dei ministeriali per il 2008/09 (si veda Il Sole 24 Ore del 13 novembre). Come da tradizione, i ministeriali aprono la tornata dei rinnovi e ne segnano l'evoluzione. I 70 euro di aumento sono stati tutti inseriti nello stipendio tabellare, dimenticando il protocollo appena firmato a Palazzo Chigi che destinava almeno 10 euro agli incentivi. I premi sono declinati al futuro, con il recupero del 20% del Fondo unico di amministrazione tagliato con il Dl 112.
Gli aumenti a regime, però, sono tutti sul fisso: ed equivalgono, all'incirca, ai 200 milioni tagliati al Fua secondo le stime sindacali. La manovra d'estate, insomma, aveva ridotto i fondi incentivanti, e ora queste risorse tornano a casa, sotto forma di compenso fisso. La mossa non è da poco, e potrebbe legarsi alla volontà di mettersi al riparo dai tagli anti-assenteismo introdotti con l'articolo 71 della manovra d'estate. La stretta agisce solo sul trattamento «accessorio», per cui aumentare la quota di stipendio «fondamentale» significa alzare una barriera preventiva ai tagli.
Il ripristino dei fondi ridotti a giugno sarà invece aggiuntivo, e finanziato con le «razionalizzazioni» delle strutture. (G.Tr.)