Un esercito di generali. O, quanto meno, di ufficiali. Senza che, a tutt'oggi, nessuno sappia bene il perché. E, soprattutto, a quali meriti debbano essere collegate così tante "mostrine" tra gli statali. Nella pubblica amministrazione il processo di valutazione del personale è a dir poco inefficace, se non addirittura monco, nonostante l'attivazione con le riforme Bassanini di specifici nuclei di controllo. Così come inefficaci si sono rivelati i ripetuti tentativi, avviati fin dai primi anni '90, di giungere ad una vera responsabilizzazione dei burocrati rispetto ai risultati conseguiti nella loro attività.
Non deve dunque stupire se le fotografie che vengono di volta in volta scattate al pianeta burocrazia, ultima in ordine cronologico quella della Ragioneria generale, mostrano sempre tinte scure e colori sfocati da tante nubi. Nubi dalle quali può sgorgare la pioggia degli aumenti a tappeto sotto forma di premi non affatto legati alla produttività o la pioggia delle promozioni: in media una ogni due dipendenti negli ultimi tre anni. Oppure la pioggia delle consulenze. Che non sono sono quelle "esterne" da oltre 1,3 miliardi, distribuiti lo scorso anno, in tempi di sacrifici economici, dalle amministrazioni (anche da enti con problemi di bilancio), ma anche quelle elargite dalla burocrazia sostanzialmente a sè stessa, ovvero ai suoi "funzionari": un "tesoretto" quantificato nel 2007 in quasi 300 milioni spalmato su poco meno di 190mila incarichi "interni". Una pioggia battente, insomma, sotto la quale rischia di affondare il pianeta-Pa.
E proprio questa, forse, è stata una delle considerazioni fatte al Senato dai partiti di maggioranza e opposizione nello spingere in modo bipartisan l'ennesima riforma del pubblico impiego, questa volta targata Brunetta. Una riforma imperniata sulla rigida applicazione di sanzioni (anche il licenziamento) nei confronti di dipendenti e dirigenti non in linea con i risultati attesi per la loro attività, sull'accentuazione in via definitiva del criterio di responsabilità, sullo stretto collegamento tra premi e produttività. E, soprattutto, sull'attivazione di un meccanismo di valutazione a prova di aggiramento.
Un obiettivo, quest'ultimo, su cui è nata la sostanziale intesa. Il Pd si è battuto fin dall'inizio per la nascita di un'Authority di valutazione super partes, quindi non dipendente né dal potere politico né da quello amministrativo, che non era prevista dal versione originaria del ministro Brunetta. E alla fine l'opposizione l'ha spuntata. Nel testo, all'esame del Senato, ora è prevista un'Authority indipendente chiamata a far sentire il suo fiato sul collo dei valutatori, ovvero dei nuclei di controllo. Che, a loro volta, dovranno incalzare dipendenti e, soprattutto, dirigenti. Il tutto alla luce del sole. Di cui, dopo tanta pioggia, la pubblica amministrazione sembra davvero avere bisogno.