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Azioni rapide con il «pubblico»

di Guglielmo Saporito

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7 GENNAIO 2009
Tipo di intervento e settore fissano il calendario


I cittadini che hanno rapporti con le pubbliche amministrazioni regolano il proprio calendario su una cadenza di 60 giorni ( si veda la tabella a fianco), termine entro il quale si può litigare davanti alla magistratura amministrativa ( Tar e Consiglio di Stato in appello). Il termine è, dunque, quasi sempre di 60 giorni, con l'eccezione (rara) del ricorso straordinario per il quale sono disponibili 120 giorni.
Dal 1990, inoltre, la legge 241 impone a tutti i soggetti pubblici che potrebbero, attraverso provvedimenti, incidere su posizioni altrui, l'onere di comunicare l'imminente adozione di atti potenzialmente lesivi. Questo significa, per esempio, che il condomino che volesse aprire, nei locali di sua proprietà, un esercizio pubblico al piano terra di un edificio, può ricevere dal Comune l'invito a comunicare agli altri condomini questa innovazione, attendendo 30 giorni per eventuali controdeduzioni (Tar Napoli 4235/2004). La stessa legge 241/1990 introduce un ulteriore principio di civiltà imponendo alle pubbliche amministrazioni di indicare termini e autorità cui rivolgersi per eventuali contestazioni. L'errore nell'individuazione dell'Autorità giudiziaria cui rivolgersi è stato poi di recente attutito dalla giurisprudenza, che ammette la trasmigrazione di liti da un giudice incompetente a un altro (per esempio, dal Tribunale civile al Tar o viceversa), ritenendo unica la domanda di giustizia (Corte costituzionale 77/2007).
Il termine di 60 giorni subisce alcune deroghe nel caso in cui il soggetto interessato non riceva direttamente comunicazione (per esempio per raccomandata) del provvedimento che lede suoi interessi. È il caso del cittadino che non può percepire la parziale illegittimità del permesso di costruire rilasciato al suo vicino, perchè, per esempio, l'illegittimità riguarda solo l'inclinazione di un tetto o altri elementi accessori. In questo caso il termine per contestare decorre dal momento in cui è percepibile la lesione degli interessi (nel caso predetto, delle distanze o delle altezze tra confinanti), mentre diversa sarebbe l'ipotesi per l'attività edilizia su suolo inedificabile, che va contestata entro 60 giorni a decorrere dalla prima pietra.
Le contestazioni verso le pubbliche amministrazioni non possono essere concentrate in termini eccessivamente brevi: anche il recente Dl 185/2008 in tema di opere pubbliche strategiche per l'economia nazionale (si veda «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio), pur abbreviando numerosi termini, lascia 30 giorni per proporre il ricorso. Occorre, infatti, rispettare il cosiddetto principio di parità delle armi tra parte pubblica e privata (Corte costituzionale 427/1997).
Nuove prospettive si aprono con i recenti indirizzi in tema di risarcimento danni: anche se sono decorsi i termini per ottenere dal giudice amministrativo l'annullamento dell'atto, si può chiedere il risarcimento del danno entro cinque anni dalla lesione subita. Chi è danneggiato da un permesso di costruire illegittimo rilasciato al vicino, per una gara o un concorso perso a causa di un errore della commissione esaminatrice, non deve necessariamente rivolgersi al Tar nel termine di decadenza di 60 giorni. Si può, infatti, chiedere (entro cinque anni) il risarcimento, senza preventivamente chiedere (con ricorso nei 60 giorni) l'annullamento dell'atto amministrativo: ciò è possibile tutte le volte che la richiesta di danni è autonoma rispetto alla domanda di annullamento (Cassazione 23 dicembre 2008, n. 30254). Il tetto rimane al posto suo, anche se illegittimo, ma il vicino ottiene, dopo qualche anno, un risarcimento a carico del confinante e del tecnico comunale, se questi ha compiuto un errore grave.

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