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Va evitato il rischio di ripetere l'Alitalia

di Elisa Fornero

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12 gennaio 2009

C'è qualche analogia tra le vicende di Alitalia e quelle delle Casse previdenziali dei liberi professionisti? Anche se l'accostamento può sembrare provocatorio, l'analogia c'è e dovrebbe fungere da monito. Gli italiani pagano infatti oggi i guasti di una prolungata gestione della nostra compagnia di bandiera "al di sopra delle possibilità", poco attenta ai vincoli di bilancio di medio-lungo periodo e scarsamente responsabile dal punto di vista sociale.
Pur con tutte le differenze e le cautele del caso, non si può escludere del tutto la possibilità che le Casse (almeno alcune) si trasformino in futuro in "piccole Alitalie" a carico dei contribuenti, che potrebbero essere chiamati a partecipare al pagamento delle pensioni di questi lavoratori (in generale non proprio poveri), nel caso in cui i bilanci delle loro Casse dovessero rivelarsi insufficienti.

Lo scenario delineato non è dietro l'angolo, ma non è neppure irrealistico e andrebbe responsabilmente affrontato. Conoscere in anticipo i rischi, anche lontani, e provvedere, costituisce l'essenza della previdenza; ma questo non è ciò che esse hanno sempre fatto.
Privatizzate nel 1994, le Casse godono di autonomia gestionale, con ampi margini di scelta sulle modalità di gestione finanziaria e determinazione delle pensioni. La gestione finanziaria è (largamente) a ripartizione e il pagamento delle pensioni di un periodo avviene sulla base dei contributi versati, nello stesso periodo, dai lavoratori attivi (analogamente a quanto accade nel sistema pensionistico pubblico, anche se con accantonamento di riserve almeno pari a cinque annualità di pensioni).

Le pensioni, a loro volta, sono però ancora largamente di tipo retributivo (salvo che per alcune Casse, più riformatrici, e per quelle di nuova istituzione). La ripartizione e il metodo retributivo possono però costituire una miscela esplosiva, essere fonte cioè di disavanzi strutturali, che intaccano progressivamente il patrimonio e mettono a rischio le future pensioni. Ciò può accadere senza che i bilanci rivelino pienamente il "virus latente", in quanto redatti sulla base delle dinamiche passate di queste professioni, troppo ottimistiche per il futuro. E infatti, a dispetto di numerosi allarmi lanciati sin dalla seconda metà degli anni Novanta, poche Casse hanno dimostrato di comprendere la rischiosità della situazione e adottato i provvedimenti (essenzialmente il passaggio al metodo contributivo e il rafforzamento delle riserve) necessari per rafforzarne le prospettive future.

Il legislatore ha così deciso di intervenire, senza ridurre in modo sostanziale l'autonomia delle Casse, ma ponendo precisi "paletti" per la redazione dei bilanci, al fine di responsabilizzare il management al rispetto di condizioni di stabilità finanziaria, oltre che di adeguatezza delle prestazioni, il che richiede che i contributi versati siano parametrati al raggiungimento di "tassi di sostituzione" (ossia di rapporti tra pensione e reddito) non troppo bassi, soprattutto per le categorie meno ricche.
Il legislatore ha anzitutto richiesto un allungamento degli orizzonti di proiezione, da 30 a 50 anni, delle variabili rilevanti (numero di iscritti e di pensionati, entrate contributive, rendimenti finanziari, spesa pensionistica). È vero che in 50 anni molte cose possono cambiare, e che quindi le proiezioni, soprattutto se prolungate a "quando saremo tutti morti" possono rivelarsi sterili; è però altrettanto vero che in materia previdenziale cinque o sei decenni rappresentano l'arco minimo per previsioni.

Il legislatore ha anche imposto alle Casse di ancorare i parametri da utilizzare per le proiezioni a quelli dell'economia nazionale. Anche questa logica è condivisibile. Infatti, anche se gli iscritti alle Casse, e i loro redditi, sono aumentati, nel passato, a tassi ben più elevati di quelli che hanno quanto riguardato le stesse grandezze a livello di Paese (crescita degli occupati e del Pil), dinamiche specifiche favorevoli non possono perdurare indefinitamente, ed è imprudente correlarvi i benefici. Le categorie professionali hanno vicende alterne: qualcuna cresce, qualcuna si contrae fino a scomparire, ma nessuna è, in ogni caso, in grado di crescere sistematicamente più della media dell'economia. Estrema prudenza, ma in senso opposto, è richiesta anche per tenere conto della longevità specifica della categoria: è plausibile che gli iscritti alle Casse professionali abbiamo una minore mortalità, a ogni età, rispetto alla popolazione generale e pertanto il legislatore ha richiesto che le probabilità di morte usate nelle proiezioni siano corrette sulla base di un andamento atteso della longevità non inferiore a quello ipotizzato per la popolazione italiana nel suo complesso.

Tutte queste misure dovrebbero indurre le Casse a presentare previsioni meno ingiustificatamente rosee e a premere l'acceleratore delle riforme, e di riforme effettive, non "annacquate". Perché ciò avvenga, tuttavia, è necessario che le Casse siano convinte di avere nel Governo un interlocutore forte, poco propenso a temporeggiare. Si vedrà se le premesse poste sul piano contabile e di cui il Sole-24 ore dà un primo resoconto riusciranno a tradursi in innovazioni a vantaggio delle generazioni future, e a evitare che queste debbano invece soffrire gli oneri di altre "piccole Alitalie".

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