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Facebook nel mirino: sempre più cause per diffamazione

di Marisa Marraffino

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12 maggio 2009
Facebook e le responsabilità civili
Risponde l'esperto di diritto penale
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Facebook nuovamente sotto tiro. Dopo i filtri delle aziende per bloccare l'accesso ai dipendenti durante l'orario di lavoro, gli appelli del Ministro Brunetta e le accuse di violazione della privacy della Ue, arrivano anche in Italia le prime querele e richieste di risarcimento danni a carico degli utenti del più popolare social network del mondo.
«Facebook non può sottrarsi alle regole del diritto comune – spiega Giuseppe Conte, professore di diritto privato e avvocato esperto di privacy e comunicazioni elettroniche - e gli utenti dei social network non possono invocare la spazialità virtuale quale esimente per le loro affermazioni e i loro comportamenti. La tutela dei beni morali e, più in generale, dei diritti della personalità non viene sospesa nello spazio telematico». Il messaggio è chiaro e le conseguenze non si sono fatte attendere.

Gli episodi
A Molfetta un imprenditore ha querelato un suo ex collaboratore per averlo definito "bastardo" su facebook. A Torino un professore ha denunciato uno studente per averlo iscritto al social network a sua insaputa e per avergli attribuito perversioni imbarazzanti. Mentre a Firenze sono state presentate almeno due querele per diffamazione a mezzo Facebook. E in una scuola superiore di Colle Val d'Elsa una bidella ha chiesto ad otto studenti un risarcimento danni di migliaia di euro per aver creato sul social network un gruppo contro di lei.
Secondo gli esperti, le segnalazioni sono destinate ad aumentare, con utenti, spesso minorenni, costretti a confrontarsi con la legge.

I reati
Il reato in cui più facilmente possono incorrere gli utilizzatori di Facebook è la diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità: le pene possono arrivare fino a tre anni, con possibili risarcimenti danni da migliaia di euro. A configurare il reato, non solo le offese esplicite all'altrui reputazione, ma anche la pubblicazione di foto di amici in atteggiamenti imbarazzanti o qualche battuta di troppo. «Potrebbe integrare il reato di diffamazione anche taggare un amico un po' ubriaco in un locale equivoco - spiega l'avvocato Riccardo Lottini di Grosseto - in caso di querela non ci si può nemmeno difendere sostenendo che l'amico aveva prestato il consenso a farsi fotografare: l'utilizzo, se lesivo della reputazione, è comunque illecito».
Niente da fare nemmeno per le mogli gelose che, con una falsa identità, tentano di scovare la relazione adulterina del marito. La sostituzione di persona è un reato punito con la reclusione fino ad un anno.
Possibili guai in vista anche per i dipendenti pubblici. Usare facebook sul lavoro potrebbe integrare addirittura il reato di peculato.

Profili giuslavoristici; dalla pausa pranzo alla malattia
In Europa hanno già fatto discutere i primi licenziamenti per l'utilizzo di facebook durante l'orario di lavoro. Episodi simili potrebbero verificarsi anche in Italia. "Utilizzare facebook durante l'orario di lavoro può dare luogo a sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro – spiega il professor Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del lavoro all'Università di Firenze – come ogni volta che un dipendente attende ad attività extralavorative sul posto di lavoro. In teoria si può arrivare sino al licenziamento, ma soltanto in caso di abusi ripetuti da parte del dipendente. Dal punto di vista dei datori di lavoro, è comunque opportuno emanare direttive esplicite, attraverso regolamenti od ordini di servizio, per disciplinare (e se del caso proibire, meglio ancora bloccando in anticipo certi siti) gli accessi ad internet e in particolare ai social network durante l'orario di lavoro. Ciò, pur senza dimenticare che possono esserci attività per le quali l'utilizzo di facebook è funzionale, e quindi consentito". Potrebbe essere oggetto di sanzione anche l'utilizzo di Facebook in pausa pranzo: il computer rimane uno strumento aziendale e non deve essere usato con finalità diverse. Diverso è il caso di un dipendente sorpreso ad usare Facebook durante un periodo di malattia, come in un recente caso accaduto in Svizzera, dove un'impiegata che si era assentata dal lavoro per una forte emicrania, che a suo dire le impediva di stare davanti a un computer, è stata licenziata perché aveva usato Facebook a casa. «In teoria – continua il professor Del Punta – questa evenienza potrebbe verificarsi anche in Italia, dove la giurisprudenza vieta al lavoratore di svolgere attività incompatibili con lo stato di malattia denunciato. Ma il caso è abbastanza estremo, perché certamente ad un dipendente costretto a casa per una normale malattia non si può impedire, di norma, l'accesso al computer e quindi anche a Facebook, non trattandosi di un'attività incompatibile. Inoltre, in Italia il certificato medico non contiene la diagnosi della malattia, per cui ufficialmente il datore di lavoro non conosce la natura del disturbo da cui è affetto il dipendente».

Un gruppo contro il datore di lavoro
Ancora diverso è il caso del dipendente che crea un gruppo contro il proprio datore di lavoro, o che comunque gli rivolge critiche pubbliche. In Inghilterra una lavoratrice è stata licenziata perché su Facebook aveva definito noioso il proprio lavoro: una misura del genere pare eccessiva per la prassi giurisprudenziale italiana, che pure ritiene che vi siano limiti all'esercizio del diritto di critica da parte del dipendente, che non deve essere sproporzionato ed eccedere i limiti della continenza. Attenzione però al ruolo ricoperto in azienda: se a criticare è un dirigente, la potenzialità lesiva delle critiche rivolte all'impresa è di massima maggiore, per cui anche la reazione disciplinare può essere più rigorosa.

  CONTINUA ...»

12 maggio 2009
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