Gabriele Del Mese e Cristina Marsetti sono ingegneri. Il primo, campano, classe 1939, è una sorta di star della professione. Primo e unico italiano ammesso nella sede londinese di Ove Arup & Partners, ha fondato nel 2000 Arup Italia, costola italiana di una multinazionale della progettazione da 10mila dipendenti, che vanta due sedi a Milano e Roma. Ha lavorato con il gotha dell'architettura mondiale e costruito edifici e infrastrutture ovunque.
La seconda, nata nel 1970, laurea "sudata" (ma senza sforare i tempi) al Politecnico di Milano, non è tipo da tappeti rossi in cantiere. Anzi. «Quando mi presento alle maestranze - dice - faccio subito capire che sono l'ingegnere perché, vedendo una donna, mi catalogano come architetto». Combattiva consigliere dell'Ordine degli ingegneri di Bergamo, ha sfidato le compagnie d'assicurazione sul terreno della protezione dei rischi professionali, finendo per trovare ascolto dai Lloyd's di Londra, dove è riuscita a ottenere la quotazione di una polizza all risks ritagliata su misura per le sue esigenze. Madre di due bambini, concilia il lavoro con la famiglia, lavorando nello studio professionale aperto con una collega con il traguardo di un fatturato annuale di 50mila euro.
Quanto Del Mese è abituato a sfide ingegneristiche ed economiche nei cantieri di tutto il mondo, tanto Marsetti è ancorata al territorio e al mercato privato. «Abbiamo partecipato a qualche gara pubblica - spiega - senza successo e con la sensazione che senza i contatti giusti sarebbe stato complicato ottenere un contratto».
In Italia sono oltre 213mila i professionisti (inclusi gli oltre 5mila laureati triennali iscritti alla sezione B dell'albo). La categoria ha vissuto i fasti del boom economico ed è uscita acciaccata da Tangentopoli. «In quegli anni l'ingegneria ha avuto un collasso totale, l'élite tecnica era diventata un ricordo - dice Del Mese - anche perché si veniva da un periodo di predominio delle imprese che avevano decapitato la figura creativa dell'ingegnere».
«Allora - prosegue - ho cominciato una campagna di evangelizzazione progettuale con lezioni nelle università italiane e ho convinto il board di Arup di tentare l'avventura italiana». L'idea era di sfruttare il gap di competenze che si era aperto in Italia «anche a causa della separazione netta tra ingegneria e architettura. Far fronte alla complessità delle nuove sfide era diventato arduo. I progettisti della vecchia generazione trovavano più comodo dividere oneri e responsabilità e l'ingegnere si era ridotto a vendere numeri e non idee, mortificando la sua capacità creativa».
Una situazione che in piccolo vive ancora oggi Marsetti, dimostrando come l'annosa polemica che divide le due principali professioni tecniche sia lontana dal trovare soluzione: la sfida della multidisciplinarietà su cui si basa il successo dei grandi studi di progettazione resta difficile da applicare quando ci si divide un mercato limitato.
«Credo nel confronto professionale e ho tentato spesso la strada della partnership con gli architetti. I risultati non sono stati brillanti. C'è una fascia grigia di sovrapposizione delle competenze che genera conflitto - spiega -. A Bergamo i due Ordini hanno la sede nello stesso palazzo, eppure non ci si parla. Basterebbe mettersi d'accordo una volta per tutte, anche a livello locale: gli architetti smettano di progettare strade e acquedotti, noi ci asterremo dal mettere le mani sul patrimonio storico-artistico».
Oggi le ambizioni di rinascita dell'ingegneria italiana devono fare i conti con il complicato rapporto con le imprese, con una committenza pubblica spesso incapace di tradurre in capitolati le proprie esigenze, e ancora con un sistema di regole per i lavori pubblici riformato sei volte in quindici anni - attraverso quattro diverse versioni della Merloni e due del nuovo Codice degli appalti - ma che alla fine ha abdicato all'aspirazione originaria di mettere al centro la cultura del progetto.
«In Italia - continua Del Mese - è prassi consolidata che le imprese che vincono le gare puntino a modificare i progetti, ma le aziende devono costruire e i tecnici progettare: i ruoli non vanno confusi. È il disastro conseguito alla liberalizzazione dell'appalto integrato (formula che affida all'impresa costruttrice anche il compito di sviluppare il progetto, ndr) che fa sì che i progettisti vengano messi da parte dopo la consegna di un primo stadio progettuale, perdendone il controllo». A pesare è anche una domanda pubblica e privata sopraffatta dalla crisi e lo scoppio di una guerra dei prezzi che spinge i professionisti a contendersi le commesse a colpi di grandi sconti sulle parcelle, dopo l'abolizione delle tariffe minime decisa nel 2006 con il decreto Bersani.
Tra i liberi professionisti sono proprio le donne a rappresentare la componente più dinamica in un'attività tradizionalmente riferita all'universo maschile. Rappresentano poco più del 10% degli iscritti ma, secondo i dati Inarcassa nel periodo 2002-2008, l'aumento delle iscrizioni dal parte delle donne è stato quasi doppio e le donne ingegnere, in particolare, hanno fatto registrare un tasso di crescita di oltre il 16%, contro l'8,6% di aumento degli architetti donna. Secondo i dati del Consiglio nazionale degli ingegneri, circa un terzo dei 62.700 progettisti che svolgono la libera professione, generando un mercato di 10 miliardi all'anno, guadagna meno di 30mila euro. A causa della crisi la contrazione del volume d'affari attesa quest'anno potrà raggiungere anche il 20-30% per gli studi più giovani e meno strutturati, a fronte di un calo medio stimato intorno al 7 per cento.
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