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Il geometra parroco e la svolta tecnologica

di Valeria Uva

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13 agosto 2009

Diceva Alcide De Gasperi: «Il geometra è il parroco della tecnica nella società». Pierangelo Tenconi, 77 anni, da Como, nei suoi 56 anni di carriera lo è stato. «Ho difeso i contadini per i confini dei fondi, ho aiutato gli imprenditori per la valutazione del patrimonio e poi sono stato consulente per tanti Comuni quando ancora non c'erano i piani regolatori e in paese, per tutti, ero il signor Geometro, sì proprio con la o al posto della a, perché al maschile suonava più autorevole». Quel professionista, proprio come il parroco, era in grado di consigliare chiunque avesse a che fare con un immobile o un terreno.
A oltre cinquant'anni da quella definizione anche Giulio Pinna, nato a Modena nel 1977, partita Iva dal 2006, si sente ancora parroco. Come se niente fosse cambiato da allora? «Al contrario - precisa -, al geometra sono state attribuite tante altre competenze, ad esempio, sul nuovo fronte del risparmio energetico, ma alla fine è sempre lì, vicino al cliente in tutti gli aspetti pratici della vita».
In effetti, rispetto alle altre professioni quella del geometra è forse la più versatile: se i medici si specializzano, se gli avvocati scelgono tra il civile e il penale e persino gli ingegneri quando progettano ponti lasciano stare le gallerie, il geometra "accumula" competenze senza dismetterne alcuna. Oggi gli oltre 111mila iscritti all'Ordine possono rimanere ancorati alle vecchie pratiche catastali (ma ora sono online) o alla topografia, oppure sperimentarsi garanti della sicurezza o misuratori del consumo d'immobili.
L'unico fossato che divide le vecchie e nuove generazioni è la tecnologia. Tenconi ha cominciato con il pennino e l'inchiostro, disegnava i progetti a mano in bella grafia. «Oggi preferisco dare direttive ai collaboratori e lasciar loro il computer». Il passaggio dai volumoni catastali all'invio telematico delle dichiarazioni ha significato anche una radicale modifica del metodo di lavoro, oggi impostato solo sull'e-working.

Per i giovani, digitali, questa è solo un'opportunità. «Grazie al computer lavoro da casa, senza studio da affittare né dipendenti». Insomma è il manager di se stesso: «Solo tagliando sui costi fissi e credendo nella flessibilità si può rimanere competitivi».
Il passaggio del sapere e delle conoscenze pratiche da una generazione all'altra non si è mai interrotto nonostante la barriera tecnologica. «Il mio rapporto con i vecchi del mestiere è stato subito positivo: niente ostruzionismo, anzi, collaborazione e disponibilità ad ascoltarti e a considerarti subito come un interlocutore valido», ricorda Pinna. Ma lui stesso attribuisce il merito di questo ingresso morbido a una scelta personale: «Uscito da scuola avevo due strade: fare il tirocinio in uno studio e quindi passare due anni a fare fotocopie o in fila al catasto, oppure fare il geometra di cantiere, da dipendente, e stare sul campo, accanto ai muratori e guardare i disegni dei manuali scolastici tradursi in realtà». Ha scelto questa seconda strada, anche se la legge sulla professione ancora guarda con sfavore chi preferisce il lavoro subordinato e gli impone cinque anni di tirocinio, anziché due.
Aggiunge, parlando chiaro: «In studio, da praticante, potevo sperare al massimo in 300mila lire di allora, invece il mio primo stipendio, nel 1998, era di un milione e seicentomila». Difende ancora la pratica di studio «come formazione di base sempre necessaria - sono le parole di Tenconi - altrimenti si arriva sì in cantiere, ma senza sapere la differenza tra una luce e una veduta».

Per lui però i due anni di tirocinio sono pochi: «Ho insegnato ai corsi organizzati dall'Ordine per preparare agli esami di stato e ho trovato giovani che correvano troppo, volevano subito l'abilitazione, ma secondo me due anni non bastano per formare un bravo professionista».
Lui ha fatto l'apprendista per cinque anni («Allora non c'era l'esame di stato») tra ingegneri e cantiere «ma senza mai essere pagato». Poi, ha trovato il suo sbocco principale nelle consulenze verso il tribunale: «Stime, perizie, frazionamenti, tutte operazioni per le quali il geometra era e resta indispensabile e non ci sarà alcun ingegnere che potrà mai portarci via il lavoro».
Eccolo il conflitto di competenze, la coperta troppo corta sotto la quale sono costretti a convivere i geometri con il complesso di inferiorità del diplomato o del laureato junior e gli ingegneri e gli architetti.
Il regolamento che stabilisce fino a dove possono arrivare i geometri risale al 1929, quando il Fascio volle mettere ordine tra le corporazioni. Ai geometri riservava le «modeste costruzioni civili» e le «costruzioni accessorie in cemento armato». Anche perché allora il cemento armato era solo un brevetto belga in via di sperimentazione. Oggi è diventato un materiale di uso comune che si trova su tutti i manuali, ma la guerra del cemento armato fra geometri e ingegneri non si è mai fermata. In questi ottant'anni, in attesa che la legge si mettesse al passo con la tecnologia, i tribunali hanno tentato d'individuare e di spostare di volta in volta gli esatti confini della professione, seppellendo i professionisti tecnici sotto una valanga di sentenze, molte in contraddizione tra loro. E allora, a tracciare il confine, ci hanno pensato le spinte del mercato, con la necessità di partire dalla ricostruzione del dopoguerra fino al boom e alla speculazione edilizia degli anni Sessanta-Settanta di ricorrere «alle modeste costruzioni civili» dei geometri, prima per far fronte alla carenza d'ingegneri e architetti, poi per rincorrere una frenetica domanda di case, qualche volta senza andare troppo per il sottile lungo il crinale della "modestia" della costruzione.

  CONTINUA ...»

13 agosto 2009
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